Una delle saghe d’azione più amate della storia del cinema; 30 anni del cult “Die Hard” e i motivi del suo successo secondo i professionisti che vi hanno lavorato
Per i 30 anni del film “Die Hard“, la saga di successo che vede tra i suoi protagonisti Bruce Willis nei panni di John McClane, alcuni dei professionisti e della crew che ha lavorato al progetto ci hanno aiutati a caprire il motivo di un successo che continua a durare nel tempo e a rinnovarsi.
L’intervista originale e integrale la potete trovare qui sul sito slashfilm.com.
La saga di “Die Hard”
Intanto per rinfrescarci un po’ la memoria, ecco i vari film che compongono la saga d’azione di “Die Hard”, i registi e l’anno di uscita. 30 anni e un soggetto che continua a produrre film di successo e molto amati:
- Trappola di cristallo (Die Hard), regia di John McTiernan (1988)
- 58 minuti per morire – Die Harder (Die Hard 2), regia di Renny Harlin (1990)
- Die Hard – Duri a morire (Die Hard with a Vengeance), regia di John McTiernan (1995)
- Die Hard – Vivere o morire (Live Free or Die Hard), regia di Len Wiseman (2007)
- Die Hard – Un buon giorno per morire (A Good Day to Die Hard), regia di John Moore (2013)
Le dichiarazioni del direttore della fotografia Jan De Bont
Il primo ad illustrarci le novità apportate da Die Hard e quindi il suo formidabile successo è Jan De Bont. Ora affermato regista, allora direttore della fotografia che ha lavorato spalla a spalla con il regista John McTiernan. Le prime cose che ci rivela De Bont, è la scelta nel 1988 di usare per la maggior parte delle riprese, la macchina a spalla, e quindi unìinquadratura che seguisse molto da vicino i personaggi e che quindi facesse entrare gli spettatori nel cuore dell’azione.
Oggi una tale scelta registica ci è molto familiare, ma nel 1988 erano davvero pochi i film che la utilizzavano e Die Hard in tal senso ha fatto scuola a tutti i film d’azione che hanno seguito la sua uscita.
Altro aspetto fondamentale per la realizzazione di Die Hard è stato il lavoro sul set. Non c’erano molti storyboard e anche la sceneggiatura mancava di alcune cose. Il bello del girare quel film infatti è stata l’opportunità di veder nascere qualcosa di completamente nuovo, stando dietro alle iterazioni tra i personaggi attori, i luoghi e la macchina da presa stessa.
De Bont ci tiene anche a precisare del fatto che si era ancora in un periodo dove il digitale non aveva preso il sopravvento sull’analogico e che quindi per realizzare alcune scene (come quella in cui gli elicotteri atterrano sul grattacielo) furono utilizzate fino a 24 telecamere diverse. Un vero capolavoro di cinema e di regia, in un periodo in cui tutto veniva fatto dal vivo. Come non restare a bocca aperta?
Anche per quanto riguarda le esplosioni, e nel film ce ne sono davvero tantissime, pare che siano tutte reali, a parte quella che distrugge tutta la parte alta dell’edificio. In quel caso è stato usato un modellino.
Ho fatto film successivi con molti effetti visivi- ha racconato De Bont -ma nulla è buono come gli effetti reali. Qualunque cosa tu faccia con gli effetti digitali, in pochi secondi puoi immediatamente vedere e sentire che è falso. Inoltre, per gli attori, non è possibile agire di conseguenza sulla qualità degli effetti. Molto spesso, nessuno sa ancora come sarà. Puoi dire, “Oh, succederà”, ma come puoi rispondere a qualcosa che non è stato ancora creato? È impossibile per gli attori diventare davvero bravi in quei film. In questo film, gli attori devono rispondere alla cosa reale. Sono molto vicini a quelle esplosioni. Sono in cima ad un vero ascensore che va su e giù!
Parola allo sceneggiatore Steven E. de Souza
Uno degli aspetti che hanno permesso a Die Hard di avere il successo e il seguito che ha avuto negli anni, è di sicuro la sceneggiatura, curata da Steven E. de Souza. Secondo l’autore dello script gran parte del successo è la mistura dei generi; nonostante Die Hard venga etichettato come un action, in esso c’è anche commedia e thriller, tutti ingredienti che, ben mescolati, portano al vero successo di pubblico, quello che dura negli anni e che fa scuola ai film successivi.
Altro elemento importante per la buona riuscita dello script, è stato conoscere alla perfezione la geografia dei luoghi in cui si compiva l’azione. Quando chi scrive e chi recita ha la padronanza della location, chi guarda il film sa tutto e riesce a seguire tutto come se stesse al centro dell’azione.
Grande importanza nel film hanno anche le varie sottotrame, che arricchiscono la linea principale e creano dinamicità nella mente dello spettatore. Uno script ben confezionato è in effetti il primo e più grande passo verso il successo di un film, e Die Hard ne é un esempio eccelso.
Parola al co-protagonista
Le ultime dichiarazioni sono state da parte del co-protagonista, l’attore Reginald VelJohnson che nel film ha interpretato il ruolo del sergente Al Powell.
L’attore ha raccontato la sua esperienza come una grande emozione, perché si trattava del suo primo film con un ruolo importante. Le sue relazioni, con il regista e gli altri attori, sono state fondamentali per tirare fuori il meglio di sé e del personaggio stesso. All’inizio delle riprese, Reginald infatti non aveva ben capito l’importanza del suo ruolo nella storia, ma poi man mano ha preso consapevolezza ed è di sicuro questo un altro aspetto importante da considerare per capire il successo del film.
Molto belle le parole che l’attore ha speso per il suo collega e compagno di Bruce Willis:
All’inizio ero molto intimidito da lui. Era una stella, e non sapevo cosa volesse da me. Ma è stato molto, molto gentile e molto attento con il mio personaggio, dicendomi cosa voleva che facessi.
Il successo di Die Hard è davvero innegabile e, che piaccia o meno il genere, il film è un esempio di come tutte le figure che stanno dietro e d’avanti alla telecamera, siano fondamentali per rendere grande un prodotto audiovisivo.
Auguri a Die Hard e a tutti i suoi protagonisti!