Uno dei primissimi episodi ad avermi profondamente colpita della serie d’animazione “One Piece“, tratta dal manga omonimo di Eichiiro Oda, è stato quello rappresentante l’inizio vero e proprio della crescita dei personaggi, ovvero quello incentrato sullo scontro tra Luffy e Usopp per il destino della Going Merry.
Una puntata di alta tensione, emozionante e drammatica come pochi nell’intero anime fino a quel momento, che mi è rimasta nel cuore.
Ricordo le espressioni di tutti gli altri membri della ciurma, di fronte alla sopracitata battaglia.
In particolare, ricordo il volto di Sanji, contratto in un’espressione di orrore nell’assistere a quella lotta sbagliata, triste e orrenda tra due amici, due compagni, due nakama.
Ancora non sapeva, il nostro caro cuoco, che due anni dopo si sarebbe trovato anche lui nella medesima situazione.
Di nuovo contro Luffy, contro l’uomo che ha lui stesso voluto come Capitano, per restargli accanto – e cucinare per lui – fino a quando sarebbe diventato re dei Pirati.
E invece la sorte si oppone, e si mette in moto una catena di eventi che gli impedisce di fare ciò, che lo porta via da Luffy, e da tutti gli altri.
Ma se Sanji apparentemente accetta questo destino in silenzio – almeno in un primo momento – Luffy non ci sta, come suo solito. Luffy vuole riprendersi Sanji.
Ma come Luffy stesso, tempo addietro, aveva capito che per far rinsavire Usopp e in qualche modo “proteggerlo” l’unica cosa da fare era dargliene di santa ragione, nonostante non fosse mai voluto arrivare a quel punto, allo stesso modo adesso è Sanji che si trova alle strette, e di fronte all’insistenza del suo capitano – cosa che mette in pericolo lui stesso e tutti gli altri – non può fare altro che fingere.
Fingere di odiare quella vita che lo ha condotto per mare per ben due anni, fingere di disconoscere i suoi compagni, millantando di essere “troppo“, per dei sempliciotti come loro.
E quando le parole non sortiscono l’effetto sperato, ecco che anche Sanji, come aveva fatto Luffy, passa all’attacco. Stordisce il suo capitano, che non reagisce (come invece al contrario aveva fatto Usopp) e che alla fine dello scontro rimane sdraiato a terra, ferito e sanguinante, nell’identico modo in cui ci era stato mostrato lo sconfitto Usopp.
Il tutto sotto lo sguardo sconvolto di Nami, permeato dalla stessa disperazione di allora.
Tuttavia mentre Usopp in seguito a quella batosta si era arreso, convincendosi (erroneamente) di non essere più il benvenuto tra le fila dei Mugiwara, Luffy al contrario comprende le motivazioni più profonde che si celano dietro il comportamento di Sanji. E, ancora una volta, lo prega di tornare con loro. Come se non fosse successo niente.
Sanji se ne va, però.
Non lo ascolta, non lo considera; è sordo al suo richiamo, alle sue implorazioni.
Ma, con una mano sugli occhi, piange in silenzio.
Proprio come aveva fatto Luffy a suo tempo. In quello stesso identico modo, dolente, agonizzante e inevitabile, di coloro il cui cuore brama ciò che la mente teme.
Ed entrambi, Luffy e Sanji, e forse un po’ anche Nami, sono d’improvviso cresciuti, ancora un po’, di nuovo.