Non giriamoci attorno, Ryan Murphy ci ha ormai abituati a tuffi nell’abisso del macabro e della controversia, con una propensione per i veri crimini che lasciano un retrogusto amaro. Dopo il successo inquietante di “Dahmer“, Murphy e il suo fedele collaboratore Ian Brennan tornano con un nuovo capitolo della loro antologia, “Monsters: la storia di Lyle ed Erik Menendez”. Il risultato? Un mix di emozioni contrastanti, conditi da recitazioni straordinarie e una narrazione che si avvicina pericolosamente al sensazionalismo.
Una storia di crimine familiare
Se non conosci la storia dei fratelli Menendez, ti sei perso uno dei casi giudiziari più discussi degli anni ’90. Lyle ed Erik Menendez, due rampolli di una famiglia ricca e apparentemente perfetta, uccidono i loro genitori con una brutale pioggia di proiettili nella loro villa di Beverly Hills. All’inizio, i due ragazzi sostengono che dietro l’omicidio ci fosse la mafia, ma presto si arrendono e ammettono la colpa. Il motivo? Abusi sessuali, fisici ed emotivi subiti per anni dal padre, José Menendez. E qui si apre il vero dibattito morale: giustizia o vendetta?
Il cast: un motivo per sintonizzarsi
Non c’è dubbio, il vero cuore di questa serie è il cast. Nicholas Chavez (Lyle) e Cooper Koch (Erik) sono una coppia perfetta, trasudano tensione e conflitto interiore in ogni scena. Chavez interpreta un Lyle feroce e calcolatore, il fratello maggiore sempre pronto a prendere il controllo, mentre Koch dipinge un Erik fragile, consumato dai sensi di colpa e dai ricordi del trauma.
E non possiamo dimenticare il formidabile Javier Bardem, che nei panni del patriarca José è il vero “mostro” della storia, sebbene non sempre rappresentato come tale. Bardem riesce a bilanciare perfettamente l’immagine di un padre violento e manipolatore con quella di un uomo che cerca disperatamente di tenere insieme la sua famiglia.
Poi c’è Chloë Sevigny nel ruolo di Kitty Menendez, una madre dipendente da alcol e tranquillanti, che appare passiva di fronte alle atrocità che si consumano sotto il suo stesso tetto. E non dimentichiamo la straordinaria Ari Graynor nel ruolo dell’avvocato difensore Leslie Abramson, una vera forza della natura con il suo impegno incrollabile nel difendere Erik.
Ryan Murphy: genio o sfruttatore?
Quando si parla di Ryan Murphy, è facile chiedersi: dove finisce l’arte e inizia lo sfruttamento? Con “Dahmer”, Murphy ha ricevuto molte critiche per aver reso spettacolo le sofferenze delle vittime, e qui con i Menendez la storia non è molto diversa. La serie esplora in modo approfondito il contesto degli abusi e delle disfunzioni familiari, ma in alcuni momenti ci si chiede se non stia romanzando eccessivamente una vicenda già di per sé drammatica.
E qui entra in gioco un dibattito interessante: è giusto che questi crimini siano trasformati in intrattenimento? Murphy gioca sul filo del rasoio tra la ricostruzione accurata dei fatti e una narrazione che a tratti appare troppo sensazionalistica, soprattutto nelle scene più grafiche e drammatiche.
La tensione psicologica e il gioco delle prospettive
Un elemento che colpisce in “Monsters: la storia di Lyle ed Erik Menendez” è l’alternanza di tempi narrativi. Non seguiamo un semplice racconto cronologico, ma ci spostiamo avanti e indietro nel tempo, esplorando non solo gli omicidi ma anche gli anni di presunti abusi. È qui che la serie offre i suoi momenti migliori: nella descrizione del conflitto interiore dei fratelli, nel mostrare la loro evoluzione da vittime a carnefici.
La tensione psicologica è palpabile, e in ogni episodio si alimenta una domanda: i fratelli sono davvero colpevoli come sembrano, o c’è qualcosa di più profondo che ci sfugge? La serie lascia spazio ai dubbi morali, ponendo lo spettatore nella scomoda posizione di dover giudicare.
Il parallelo con Dahmer: un confronto inevitabile
Parlando di serie crime, il confronto con “Dahmer” è inevitabile. In termini di impatto visivo, “Monsters” mantiene lo stesso livello di cura tecnica: la fotografia oscura e i dettagli grafici contribuiscono a creare un’atmosfera claustrofobica, mentre le inquadrature strette mettono in risalto l’intimità violenta della storia. Ma c’è una differenza sostanziale: dove “Dahmer” si concentrava sull’orrore puro, “Monsters” cerca di scavare più a fondo nel tema degli abusi e del privilegio.
Interessante è anche il modo in cui la serie introduce il contesto storico degli anni ’90, con riferimenti al processo di O.J. Simpson e all’isteria collettiva intorno ai crimini commessi dai bianchi di classe alta. Questo parallelo aggiunge uno strato ulteriore alla narrazione, anche se a volte rischia di sembrare forzato.
Il lato tecnico: fotografia e colonna sonora
Nonostante alcune debolezze narrative, la serie brilla sul piano tecnico. La fotografia è sapientemente curata, giocando con ombre e luci per riflettere il conflitto interiore dei personaggi. Le scene nella villa dei Menendez sono cariche di tensione visiva, con angoli di ripresa che enfatizzano il senso di claustrofobia e paranoia.
La colonna sonora aggiunge un ulteriore livello di intensità, mescolando melodie malinconiche con toni sinistri, creando un sottofondo costante di inquietudine che accompagna lo spettatore dall’inizio alla fine.
Vale la pena guardarlo?
Alla fine della giornata, la domanda è: vale la pena guardare “Monsters: la storia di Lyle ed Erik Menendez”? Se sei un fan delle storie vere di crimini e ti piacciono le serie che esplorano il lato oscuro dell’animo umano, probabilmente troverai qualcosa di interessante in questa miniserie Netflix. La serie offre un’ottima interpretazione e una produzione tecnica di alta qualità. Tuttavia, se non sei disposto a sopportare qualche momento di sensazionalismo e narrazione forzata, potresti trovare la serie più sfruttatrice che riflessiva.
Ma questa è solo la mia opinione. Tu cosa ne pensi? Hai già visto la serie? Lascia un commento qui sotto e fammi sapere se sei d’accordo o se hai una visione diversa! Io ho deciso di dargli un bel 7.
La Recensione
Monsters: la storia di Lyle ed Erik Menendez
Un thriller psicologico interessante che esplora abusi familiari e omicidi, ma rischia di cadere nel sensazionalismo.
PRO
- Ottime performance attoriali
- Fotografia curata e suggestiva
- Intensa tensione psicologica
CONTRO
- Narrazione a tratti sensazionalistica