In questo debutto alla regia, Anna Kendrick ci porta in un viaggio assurdo e angosciante tra luci da studio televisivo e oscuri segreti. “Woman of the Hour” è una pellicola che, con astuzia e ironia, ci pone una domanda fondamentale: “A cosa servono le ragazze?”. E, oh, non aspettatevi risposte semplici.
Luci da studio e oscurità nei cuori
“Woman of the Hour” è la storia di Cheryl Bradshaw, interpretata da Kendrick stessa, una giovane attrice che prova a farsi strada a Hollywood. Le audizioni non vanno bene, i ruoli importanti sembrano sempre sfuggirle dalle mani. Ma arriva un’occasione un po’ diversa: partecipare come ospite al famigerato “The Dating Game”.
Ebbene sì, è la classica situazione da “non è quello che speravo, ma almeno è televisione”.
E qui, amici cinefili, arriva il colpo di scena: sul pannello degli scapoli è seduto Rodney Alcala (Daniel Zovatto), utente n. 3, fotografo dai capelli lunghi e – spoiler? – serial killer. Sì, avete capito bene. Cheryl, ignara del pericolo, sceglie proprio lui per un appuntamento a Carmel. A questo punto potremmo pensare: “Ok, è la storia di come Cheryl sfugge a un killer, giusto?”. Ah! Non così in fretta.
Un puzzle di voci, non solo vittime
Kendrick usa una struttura narrativa un po’ disorientante, ma mai banale, per raccontare la storia non solo di Alcala, ma soprattutto delle persone che hanno avuto la sventura di incrociare il suo cammino.
La trama salta da un momento all’altro, quasi a ricordarci che la storia non è lineare come ci piacerebbe pensare. La regista rifiuta di glorificare il killer, scegliendo invece di dare voce alle vittime e a chi – inascoltato – ha cercato di fermarlo.
E, ammettiamolo, quanti film true crime finiscono per fare proprio questo?
Spesso, questi racconti scivolano in quella sorta di perversa ammirazione per il criminale di turno. Qui, invece, Kendrick opta per un approccio più umano e compassionevole, raccontando storie di donne che non diventano semplici “notizie” ma persone con voci, emozioni, paure.
1977: tra Wyoming e studi televisivi
La storia inizia nel 1977, con Alcala che fotografa una donna di nome Sarah (interpretata da Kelley Jakle) nelle sconfinate terre del Wyoming. Lei si apre con lui, confidando i suoi pensieri più intimi.
Ma presto tutto cambia, e quando lui le mette una mano sul collo, la paura sul volto di Sarah diventa tangibile. Kendrick riesce a catturare la differenza di potere tra Sarah e Alcala in modo sconvolgente, inchiodando lo spettatore alla sedia mentre l’ultima scintilla di speranza scivola via dagli occhi della donna.
La narrazione si muove poi su e giù per la timeline.
Il segmento del Dating Game è una scena da non perdere: Alcala è davvero apparso nel quiz negli anni ’70, e Kendrick mette in scena l’episodio con un tocco di ironia macabra. Mentre Cheryl è seduta con un sorriso, una donna del pubblico (Nicolette Robinson) lo riconosce, cercando disperatamente di avvisare i produttori.
Ma ovviamente, chi la ascolta? Nessuno. E Alcala riesce a sfuggire ancora una volta.
Le sfide quotidiane delle donne: un mondo fatto di paure e rischi
Anna Kendrick usa il cinema per mettere in luce le piccole e grandi paure che le donne affrontano quotidianamente. Alcuni potrebbero chiamarla paranoia, ma è una realtà che molte conoscono fin troppo bene. Dopo la registrazione del Dating Game, Cheryl non sa ancora tutto su Alcala, ma ne sa abbastanza per essere spaventata.
In una scena agghiacciante, lo vediamo seguirla da un parcheggio vuoto, prima da lontano, poi sempre più vicino, fino a rendere ogni battito cardiaco dello spettatore più intenso.
Ma Alcala non è l’unico problema di Cheryl. Anche il vicino Terry (interpretato da Pete Holmes) è pronto a far sentire la sua presenza inopportuna, mettendola in una situazione sgradevole mentre la aiuta a fare delle prove. Persino il conduttore del Dating Game, Ed Burke (Tony Hale), è un esempio vivente di maschilismo. Kendrick dimostra come, per molte donne, il mondo sia un campo minato fatto di rischi e approcci indesiderati.
Un eroe imprevisto
Tra tutto questo caos, emerge la figura di Amy (interpretata da Autumn Best), una vagabonda che Alcala incontra a San Gabriel, in California. Amy è la vera eroina, una delle poche donne che riesce a giocare sulle debolezze di Alcala e, grazie alla sua astuzia, porta alla sua caduta.
Kendrick, con intelligenza, ci ricorda che le donne non sono solo vittime.
La forza di Amy è celebrata con orgoglio, e il suo ruolo è fondamentale per risolvere la storia.
Il punto più forte del film è proprio questo: non è il killer a essere glorificato, ma le donne che gli si sono opposte, quelle che hanno lottato, quelle che hanno provato a salvare altre vite.
E poi c’è quella domanda, posta con una vena di provocazione da Cheryl ai partecipanti del quiz: “A cosa servono le ragazze?” La risposta è un balbettio imbarazzato, ed è esattamente questo che Kendrick vuole farci capire: il mondo è pieno di uomini che non sanno cosa fare con una donna che non è disposta a stare al suo posto.
Conclusione: un debutto che punta in alto
“Woman of the Hour” è un debutto di regia audace e, a tratti, imperfetto. Anna Kendrick prende rischi, e questo è evidente, ma è proprio questa sua audacia a dare al film la sua forza. Certo, la struttura è un po’ irregolare, con salti temporali e scene che non sempre sembrano connesse immediatamente tra loro.
Ma questo è il cinema, amici: non tutto deve essere servito su un piatto d’argento.
Quindi, lo consiglierei? Assolutamente sì. Non è un film perfetto, ma è un film che fa pensare, che provoca, che ti fa venire voglia di discutere.
E ora tocca a voi: cosa ne pensate? Avete visto “Woman of the Hour”? Vi ha impressionato il coraggio di Anna Kendrick o vi ha lasciato confusi? Fateci sapere nei commenti, perché il cinema è anche questo: condivisione e discussione.
La Recensione
Woman of the Hour
In questo debutto alla regia, Anna Kendrick ci porta in un viaggio assurdo e angosciante tra luci da studio televisivo e oscuri segreti. "Woman of the Hour" è un film che mescola momenti di tensione e ironia, mostrando i lati più oscuri della notorietà. Con pregi come un'intensa narrazione e personaggi ben definiti, ma anche difetti come una struttura a tratti disorientante, Kendrick ci chiede: "A cosa servono le ragazze?". E, oh, non aspettatevi risposte semplici.
PRO
- Anna Kendrick esplora le dinamiche di potere con intensità.
- Il tono ironico e la narrazione non convenzionale lo rendono unico.
CONTRO
- La narrazione frammentata a volte risulta confusa e rende difficile seguire il filo degli eventi.