GLI OCCHI DEI NEONATI SVELANO L’AUTISMO
In un futuro non lontano l’autismo potrà essere diagnosticato su neonati di pochi giorni di vita con un «test dello sguardo», un esame semplice che consiste nel vedere se gli occhi del bebè siano o meno catturati da «stimoli sociali», come la vista di un viso, o il movimento di una mano, o ancora più schematicamente il movimento di una serie di punti astratti su un video che ‘imitanò i movimenti di un braccio.
L’importante prospettiva arriva da uno studio italiano coordinato da Giorgio Vallortigara dell’Università di Trento, con colleghi delle università di Padova, di Exeter (GB) e dell’Istituto Superiore di Sanità di Roma su bebè di 6-10 giorni di vita: neonati ad alto rischio di autismo, le cui reazioni a stimoli sociali sono state confrontate con quelle di neonati a basso rischio.
Secondo quanto riferito sulla rivista Scientific Reports, sono state evidenziate differenze notevoli nei comportamenti dei neonati a basso rischio di autismo rispetto ai comportamenti dei piccoli ad alto rischio – ovvero bebè con fratelli maggiori autistici che, quindi, hanno a loro volta un elevato rischio di ammalarsi in modo conclamato o comunque di manifestare lievi disturbi dello spettro autistico.
«Nel nostro lavoro – rileva Vallortigara – per la prima volta in assoluto si studiano le reazioni di bimbi di pochissimi giorni di vita, 13 ad alto rischio e 16 a basso rischio di autismo».
Le differenze registrate sono sostanziali: i neonati ad alto rischio di malattia non sono interessati a stimoli sociali e perdono subito l’attenzione verso essi; i bebè a basso rischio, invece, prediligono in maniera evidente gli stimoli sociali, quindi fissano a lungo tali stimoli visivi mentre si disinteressano in fretta a oggetti inanimati. I bimbi ad alto rischio di autismo già appena nati sembrano disinteressati a stimoli sociali: non seguono con lo sguardo movimenti di «oggetti animati», come ad esempio gli occhi o la mano di un adulto. Questo studio getta le basi per una «diagnosi precocissima», alla nascita, di disturbo autistico e quindi suggerisce la possibilità di interventi tempestivi sul bebè per tentare di contrastare la malattia al suo esordio, conclude Vallortigara.
Lo studio, spiega Vallortigara intervistato dall’ANSA, è stato reso possibile grazie al contributo del network italiano coordinato dall’ISS «NIDA», rete per lo studio e monitoraggio di bambini ad alto rischio di Disturbi dello Spettro Autistico. L’autismo è una malattia complessa, con molti livelli di gravità. È caratterizzata da disfunzioni del cosiddetto «cervello sociale», ovvero di quelle aree della corteccia importanti per stabilire delle relazioni sociali, per provare empatia, per relazionarsi col prossimo. Sempre più ricerche sembrano dimostrare che il disturbo autistico sia presente sin dalla nascita, e vi è infatti familiarità per la malattia. La diagnosi, comunque, ad oggi non può essere fatta ad oggi prima che il bambino abbia compiuto 2-3 anni di vita. Già in passato uno studio su Nature aveva mostrato che bimbi cui in seguito sarebbe stato diagnosticato l’autismo cominciano a perdere, già nei primissimi mesi di vita, il contatto con gli occhi degli altri e l’interesse visivo per stimoli di varia natura che guidano l’interazione sociale (ad esempio espressioni del viso o posture del corpo).