No, non parliamo di “quel Ligabue” che, appena qualche giorno fa, aveva smentito le voci relative ad un suo presunto ritorno. Il Ligabue in questione è Antonio, il celebre pittore reggiano che già quarant’anni fa aveva ispirato uno “sceneggiato” come si diceva allora, che ha segnato la storia della tv italiana.
Elio Germano, il camaleonte
Inizieranno a maggio nel territorio reggiano, le riprese del film “Volevo nascondermi” sulla vita del celebre artista; dietro la cinepresa troveremo il regista bolognese Giorgio Diritti e nel ruolo di Antonio Ligabue, il solito, camaleontico Elio Germano.
Chi ha avuto modo di vedere la versione del 1977, di sicuro sarà rimasto ammaliato dall’interpretazione di Flavio Bucci che aveva regalato al pubblico un Ligabue sofferto e intenso, rappresentazione fedele del genio visionario ed emarginato del grande artista. Per Germano si prospetta dunque una grande sfida, ma considerato il suo innato trasformismo, che in passato gli ha permesso di ridare vita ad alcuni personaggi realmente esistiti tra cui Felice “faccia d’angelo” Maniero, Giacomo Leopardi e Nino Manfredi, non c’è dubbio che riuscirà nel suo intento.
Ligabue, lo straordinario incompreso
La storia di Antonio Ligabue, detto “Toni” non potrebbe assomigliare di più al soggetto di un film; nato in Svizzera da ragazza madre e padre ignoto, viene poi riconosciuto dal marito di quest’ultima, tal Leccabue di Gualtieri (Reggio Emilia) quando è ancora un bambino. Quando la madre e tre fratelli muoiono presumibilmente per mano del patrigno, per Toni inizia un calvario fatto di affidi e ricoveri in manicomio tra l’Italia e la Germania, che lo porteranno una volta stabilitosi nel reggiano, ad essere soprannominato “al tedesch” (il tedesco) e “al mat” (il matto). Condusse una vita di povertà, conoscendo la solitudine e lo scherno della gente, fino a quando critici e giornalisti iniziarono a notare le sue opere: la sua pittura naïf, fatta di colori, animali e vegetazione esotici, portarono una ventata di freschezza all’arte contemporanea. Riuscì anche a cambiare il suo cognome in Ligabue, per recidere definitivamente il legame con il patrigno omicida.
Morì nel 1965 e da allora i suoi dipinti sono stati oggetto di mostre e retrospettive e tutt’oggi li troviamo riprodotti su una moltitudine di oggetti di uso comune quasi come Ligabue fosse diventato suo malgrado un’icona pop.
Un nuovo impulso per il territorio reggiano
Palomar, società di produzione del film sta già le comparse sul territorio reggiano e proprio a Reggio Emilia ha intenzione di insediare un suo distaccamento al fine di promuovere il territorio stesso attraverso progetti cinematografici e non, che prenderanno vita nei prossimi anni.
La vita di Antonio Ligabue è stata segnata dalla malattia e dall’emarginazione, ma come una favola senza tempo, continua a raccontarci della straordinaria resilienza dell’uomo, che spinto dalle proprie passioni, trova la via del riscatto sociale e umano.
E di questi tempi, sono queste le storie che val la pena raccontare.