Jack è un assassino seriale per cui il crimine è un’opera d’arte. Von Trier ritorna cinque anni dopo Nymphomaniac, ricalcando sé stesso attraverso le ossessioni del suo protagonista, interpretato da Matt Dillon
Dopo aver sconvolto il Festival di Cannes nel maggio scorso, il nuovo perverso lavoro del regista danese arriva in Italia, in due versioni vietate ai minori di 18 anni, così come ha deciso la casa di distribuzione italiana Videa. La versione italiana è stata distribuita con tagli nelle scene più cruente, che hanno fatto scappare gli spettatori dalla prima del film a Cannes, e una seconda in lingua originale con il director’s cut.
Chi è Jack?
La storia è ambientata nell’America degli anni ‘70, e dopo Dogville (2003) e Manderlay (2005) chiude la trilogia dei film che raccontano l’America, seppur Von Trier non l’abbia mai visitata.
Jack (Matt Dillon), all’apparenza, sembra un uomo qualunque alla guida del suo furgoncino rosso. Ma pochi minuti dopo l’inizio del film scopriamo che non è così. Jack è un serial killer, affetto dal disturbo ossessivo compulsivo, e in ogni omicidio che compie vede un’opera d’arte. Fotografa le sue vittime, ne modifica i corpi, da un seno crea un portamonete, insomma li plasma a proprio piacimento, conservandoli in una cella frigorifera di sua proprietà.
Tutto il film è accompagnato da un voice over in cui riconosciamo la voce del protagonista ed un altro personaggio che verrà svelato solo nella sequenza finale. Il dialogo con Virgilio (Bruno Ganz, da poco scomparso) percorre tutta la storia di Jack fino all’epilogo, in cui vediamo i due scendere nell’inferno, che è palesemente la rappresentazione della psiche del protagonista.
Virgilio fa da guida a Jack in tutto il suo percorso, quasi come se fosse uno psicoterapeuta che cerca di comprendere il motivo per cui il suo paziente compie quei gesti folli, e soprattutto non lo giudica e non gli suggerisce risposte, gli pone la realtà così come si presenta ai suoi occhi.
La narrazione è suddivisa in cinque incidenti (così come ama definirli il protagonista) e un epilogo, ovvero la discesa negli inferi. I cinque incidenti non sono altro che cinque dei tantissimi omicidi che ha compiuto Jack, circa 60, e tutti i corpi sono conservati nella sua cella frigorifero in attesa del compimento dell’opera d’arte finale.
Nei cinque incidenti viene sbandierata ai quattro venti la misoginia di Von Trier, le vittime sono spesso donne, che lui definisce stolte e facili da uccidere. Infatti, il regista decide di mettere in scena un prototipo di donna che suscita fastidio e riso, nel protagonista ma anche nello spettatore, che a suon di assurdo inizia ad empatizzare con Jack.
Il protagonista racconta questi cinque omicidi come se stesse raccontando delle opere d’arte, in cui ogni volta rischia di essere scoperto, quasi come se volesse essere catturato, ma il fato miracolosamente accorre sempre in suo aiuto.
Ad intervallare la narrazione degli omicidi, ci sono discorsi che passano dal racconto della tigre e l’agnello di William Blake a discorsi sui totalitarismi con tanto di immagini di repertorio. Questi inserti spiegano tutto ciò che accade sullo schermo e rappresentano il tentativo del protagonista di motivare le sue azioni folli.
Lars Von Trier non manca di narcisismo e così, tra le immagini della sua nuova opera, interpone anche quelle di suoi vecchi film come l’ancora più crudo Antichrist (2009).
La casa di Jack è composto da riflessioni filosofiche e shock emotivi che si alternano senza sosta con violenza gratuita, a cui però lo spettatore più affezionato al regista è già preparato.
La casa mai costruita
Parallelamente agli omicidi, Jack ha un’altra ossessione: la costruzione di una casa. Avendo ereditato un’ingente somma di denaro ed un terreno edificabile, Jack, vuole costruire una casa con le sue mani. Vuole idearla, progettarla e persino costruirla, infatti il suo più grande sogno era quello di diventare architetto, e non ingegnere, così come gli era stato imposto dalla madre.
Così Jack, passa il tempo a progettare la casa, cambiando di continuo il materiale per la costruzione, distruggendo e ricominciando varie volte. Non è mai soddisfatto della sua scelta, passano i giorni e la sua casa resta solo un’idea su carta.
L’unica casa che gli vediamo edificare è quella fatta dei corpi delle sue vittime, quando nelle ultime sequenze del film, incontra Virgilio, al di là di quella porta che ha provato ad aprire per tutto il tempo della narrazione senza riuscirci. Virgilio è stato sempre lì ad osservarlo e si è palesato al momento giusto, perché mentre Jack cerca di compiere il suo nuovo esperimento omicida (uccidere contemporaneamente varie persone con un solo proiettile incamiciato), arriva la polizia che ha, si potrebbe dire finalmente, scoperto Jack.
In questo frangente, il protagonista crea una casa fatta di corpi che lascia lo spettatore sbigottito di fronte a tale visione. Tutti i suoi omicidi, tutte le sue vittime sono lì, una combacia con l’altra e Jack ha finalmente creato la sua opera d’arte, infatti è proprio dopo la visione di ciò che lo vediamo scendere negli inferi della sua mente insieme a Virgilio.
La casa di Jack è un film di Lars Von Trier, e ciò significa aderire a tutto quello che il suo cinema comprende, tra cui le regole del gruppo Dogma95, fondato dallo stesso Von Trier e da Thomas Vinterberg nel 1995. Sebbene il gruppo si sia sciolto dopo 10 anni nel 2005, la scia di questo movimento e delle sue regole è ancora presente nel cinema del regista danese.
Non ci sono effetti speciali, non ci sono luci particolari ne artifici tecnici, la colonna sonora la troviamo in alcuni momenti clou, in cui possiamo riconoscere Fame! Di David Bowie. Insomma, La casa di Jack non sposa perfettamente queste regole ma ne è comunque influenzato.
È un film non omogeneo, confonde lo spettatore che al termine dei titoli di coda (con molta probabilità) resta con lo sguardo perso nel vuoto a cercare di decifrare cosa ha appena visto. Rimane un film assurdamente sincero e soprattutto coerente con la visione del regista. Infinte, l’interpretazione di Matt Dillon si può definire magistrale, attraverso le espressioni del suo volto ha saputo raccontare alla perfezione le follie di Von Trier.
La Recensione
La discesa agli inferi di Lars Von Trier: la recensione di La casa di Jack
Un racconto psicologico che si serve delle follie del protagonista per indagare la mente umana. Il ritorno del regista Lars Von Trier che non delude le aspettative
PRO
- Recitazione del protagonista
- Sviluppo psicologico del personaggio
CONTRO
- Scene violente