Cambiamento.
Questo è il termine che mi viene in mente di primo acchito quando penso a quella meravigliosa serie anime che è “Devilman crybaby“.
Ché in fondo non importa che tu sia un demone, un Devilman o un umano: siamo sempre e comunque tutti intrappolati in questo povero piccolo mondo angelico, in questo cerchio della vita e della morte che come scriveva Yeats gira, e gira, e continua a girare, sempre uguale a se stesso, fino a quando qualcuno non lo spezza, fino a quando non c’è un cambiamento.
Ed ecco che Akira, accettando l’invito di Ryo ad andare al raive party, entrando in quel locale, ha guastato lo schema, e il mondo intero è diventato pertanto più vasto, e diverso. Cambiato.
E poi è sempre così che va, del resto.
Arriva qualcosa di nuovo, di diverso, che viene percepito come un male, come l’erbaccia da sradicare affinché non alteri in alcun modo la crescita delle altre piante, quelle volute, quelle considerate giuste. Si inizia pertanto con l’estirpazione, con una lotta senza fine coonestata con i mirabili scopi comuni cui si vuole approdare.
“Per il bene di tutti“, si dice.
Ed ecco che gli umani si rivoltano contro i demoni. Gli oppressi divengono oppressori.
Ma si dice che quando non hai più nessuno da odiare inizi ad odiare te stesso, che è così che va.
E infatti quegli umani iniziano ben presto a rivoltarsi anche contro i propri simili, contro altre persone in carne e ossa, sangue e sentimenti, altri “se stessi“, e non importa più se sei un demone o no, tanto probabilmente sei cattivo comunque, e dunque devi essere eliminato.
Ma in tutto questo c’è una speranza, che è poi uno dei due simboli principali del cambiamento di cui parlavamo prima; in tutto questo, c’è Akira Fudo.
Sulle note di “Crybaby“, OST mozzafiato ed adattissima al contesto, ecco che il dolore di quel mezzo demone e mezzo uomo – il quale proprio in virtù di tale sua duplice natura prova su di sé le atroci sofferenze provenienti da entrambi gli schieramenti – divampa, e raggiunge il culmine di pari passo con la musica.
C’è un calo di tensione, poi.
La melodia si placa, non irrompe più prepotentemente nei timpani, dritta al cervello.
C’è quasi un silenzio innaturale, assordante.
Akira non è né totalmente umano, né totalmente demone. Ma ha lottato come un demone, prima. Ed è morto come un umano, ora.
E il mondo intero si è ampliato ancora, giusto un attimo prima di essere distrutto da quei demoni che in fondo, per certi versi, non sono poi così diversi dagli esseri umani, e viceversa.
Perchè se il cambiamento che deriva dall’aver guastato lo schema coinvolge Akira essenzialmente dal punto di vista fisico e per certi versi mentale, non provocando in lui alcun mutamento sostanziale nel carattere, nel suo continuo e costante battersi per la giustizia e per difendere coloro che non riescono a difendersi da soli, e che “piange per gli altri e mai per se stesso“, il contrario accade per l’altro fulcro centrale della serie: Ryo.
Da piccolo Ryo diceva che era stupido piangere per qualcuno che si sapeva già che sarebbe morto. Sempre così algido, e imperturbabile, e freddo, lui, anche da grande, anche di fronte a quella violenza disumana di cui è stato il fautore e il principio cardine, ma che riteneva doverosa e giusta al fine di raggiungere uno scopo più elevato.
Lui che propugnava fieramente la necessità di un sacrificio di portata globale.
Lui che però, quando il sacrificio lo coinvolge direttamente, quando quella morte inevitabile si porta via per sempre il suo amico e fratello, arma e giocattolo, distruttore e distrutto Akira, piange a dirotto, senza freni, un’emozione così strana in lui, per lui.
Una lacrima versata, un dolore nuovo, un sentimento. Un cambiamento.
E lo schema è stato di nuovo guastato. E il cerchio spezzato. E il mondo è divenuto ancora più vasto.
Ma anche più vuoto, e più triste.
Ché Lucifero ha pianto, dilaniato dalla solitudine, e dal rimorso.
Ché gli umani hanno ucciso e smembrato persone innocenti, senza alcun pentimento.
E dunque: chi sono davvero i cattivi?