Chi avrebbe mai pensato che la cosa più spaventosa al mondo potesse essere… non muoversi?
Se siete curiosi di vedere un film che fa della paralisi fisica il suo fulcro, allora Don’t Move potrebbe essere quello che fa per voi.
Diretto da Brian Netto e Adam Schindler, questo thriller ad alta tensione vi terrà… per la maggior parte del tempo, più o meno, sul bordo del divano. Finn Wittrock e Kelsey Asbille sono i protagonisti di un gioco di sopravvivenza in puro stile Hitchcockiano.
Ma attenzione: non tutto è oro quello che luccica, e in questa recensione vedremo perché.
Una premessa da paura: quando il thriller si basa sull’immobilità
Nel mondo del cinema, fare qualcosa di nuovo è sempre una sfida. Don’t Move si pone questa domanda: “Cosa succederebbe se prendessimo una scena che dura due minuti in qualunque altro film e la espandessimo a un’intera pellicola?”. Ecco la premessa: Iris, interpretata da Kelsey Asbille, è una madre che cerca di fare i conti con la tragica morte del figlio. Il film inizia in maniera cupa: Iris è in montagna, in procinto di compiere un gesto estremo. Poi arriva Richard (Finn Wittrock) e, da bravo salvatore, le dice: “Rotto non significa senza speranza”. Una frase che sembra quasi rincuorante, ma non lasciatevi ingannare. Subito dopo, la tase, la lega, e la getta nella sua macchina. In effetti, Richard è un serial killer e, come se la giornata di Iris non potesse andare peggio, la droga con una sostanza che la renderà paralizzata per un’ora.
Quindi, la sfida è chiara: Iris deve trovare un modo per salvarsi senza poter muoversi. Una sorta di gioco dell’immobilità che a tratti intriga, a tratti fa un po’ sorridere.
Una sfida cinematografica ben gestita, ma non senza difetti
Don’t Move sfrutta appieno la sua idea di fondo grazie a una cinematografia mirata. Zach Kuperstein, il direttore della fotografia, usa inquadrature ravvicinate stressanti e riprese in soggettiva per far sentire lo spettatore in trappola insieme a Iris. La tensione è palpabile, e Kelsey Asbille riesce a portare sullo schermo una vasta gamma di emozioni, nonostante la sua immobilità forzata. Brava lei, davvero! Ma è quando arriva William, un vecchio eremita che rischia di falciarla con il tosaerba, che si tocca l’apice della suspense. Quella scena è un puro divertimento in stile Hitchcockiano: basta un niente e tutto può esplodere, e Iris deve comunicare solo con gli occhi. Un momento da brividi, per chi ama i thriller psicologici.
Però, per arrivare a questi momenti di picco, dobbiamo accettare qualche decisione discutibile da parte di Richard. Alcune delle scelte del nostro serial killer sono talmente stupide che ti fanno venir voglia di scuoterlo. Non solo Iris riesce a tagliare le sue corde con un coltellino svizzero che Richard si era dimenticato di toglierle (ehi, capita anche ai migliori, no?), ma le lascia persino il suo iWatch perché tanto non c’è campo nei monti. Forse, caro Richard, poteva valere comunque la pena di prenderglielo, non credi?
Il villain più pigro di sempre?
Richard è praticamente la versione pigra del villain de La scomparsa di Eleanor Rigby, e non fa nemmeno finta di essere intelligente. La sua giustificazione per tutto quello che fa? “Sono un uomo, e sono io che comando”. Ma, oh, quanto è maldestro. Prova a giustificare la situazione con un cliché misogino: Iris sarebbe sua moglie, è mentalmente instabile o forse alcolizzata. Dunque, niente di strano se è spaventata e legata, giusto? No, caro Richard, non ci siamo proprio. Finn Wittrock fa del suo meglio con un personaggio che ha più buchi di una fetta di groviera svizzera, ma alla fine sembra più un’occasione sprecata. Riusciamo a credergli quando è affascinante e tranquillo, ma quando si tratta di improvvisare diventa un disastro.
Un esperimento che, tutto sommato, funziona
Don’t Move è, in definitiva, un esercizio di genere. Non cerca di essere un capolavoro, ma piuttosto un esperimento per capire se una sola scena da brivido può sostenere un intero film. E sapete una cosa? In parte ci riesce. Ci sono momenti in cui il cuore batte più forte e ci si chiede come Iris farà a cavarsela. Brian Netto e Adam Schindler sanno come giocare con la tensione e portano lo spettatore a chiedersi se sarebbe altrettanto astuto in una situazione del genere.
Ma il film non è solo un thriller adrenalinico: è anche un esercizio cinematografico che cerca di fare qualcosa di nuovo. Non sempre ci riesce, ma l’intento è evidente e apprezzabile. È come se fosse un piccolo manuale di errori e intuizioni per i futuri registi. E, per chi ama il genere, è comunque un buon divertimento.
Conclusione: vale la pena guardarlo?
Se amate i thriller claustrofobici che cercano di fare qualcosa di diverso, allora sì, Don’t Move potrebbe essere una visione interessante. Non è perfetto, certo, ma ha una sua forza. C’è da dire che, se siete allergici ai villain poco intelligenti e alle scelte di trama forzate, questo film vi farà storcere il naso. In ogni caso, è un esempio interessante di cosa accade quando si tenta un esperimento cinematografico fuori dagli schemi.
E ora voglio sentire da voi: avete visto Don’t Move? Che ne pensate di questo esperimento Hitchcockiano con una spruzzata di horror moderno? Fatemelo sapere nei commenti, sono curioso delle vostre opinioni!
La Recensione
Don't Move
Un thriller ad alta tensione con qualche difetto. Suspense e interpretazioni valide, ma un villain sciocco e buchi logici ne limitano l'efficacia.
PRO
- Suspense non manca
- Inquadrature ravvicinate che portano lo spettatore nell'azione
CONTRO
- Villain poco credibile
- Trama con troppi buchi