Tetro, sempre nervoso e teso: così possiamo riassumere il personaggio di Nobuchika Ginoza, uno dei protagonisti della serie d’animazione disponibile in italiano su Netflix “Psycho Pass“.
Questo perché Ginoza prende così seriamente il proprio lavoro da arrivare al punto di esaurirsi, e a nulla valgono i consigli dello psicologo di parlare con qualcuno, di sfogarsi: lui è fiero, orgoglioso, e vuole risolvere da solo i propri problemi.
O forse, semplicemente, ritiene di non avere nessuno in grado e volenteroso di ascoltarlo, e di comprenderlo.
Quel che però caratterizza maggiormente questo personaggio è il rapporto conflittuale instaurato col padre: da un lato il ribrezzo verso la sua figura di criminale latente, dall’altro il desiderio morboso di soddisfarlo, di fargli vedere quanto vale, di essere messo almeno una volta al pari di Kogami, le cui azioni vengono continuamente osannate dal genitore, facendo sprofondare Ginoza sempre più in un vortice di autocompatimento e al medesimo tempo di bisogno di riscatto.
Ma il tempo scade.
Quel padre che Nobuchika ha sempre considerato più che altro un suo sottoposto, al quale ha sempre intimato di non prendersi troppe confidenze con lui, si sacrifica per salvarlo.
È in quel momento che Ginoza cambia: lascia perdere il proprio ruolo di ispettore, dimentica il ruolo di criminale latente del genitore, che improvvisamente diventa di nuovo un “papà” e verso il quale corre disperatamente, nonostante le ferite che lui stesso ha riportato.
E quando arriva da lui, in mezzo a tutto quel sangue, gli urla ancora una volta che è uno stupido, che non ha fatto il suo dovere di investigatore, che si è lasciato scappare Makishima; ma è diverso, adesso. Adesso Ginoza non è più un ispettore strenuamente attaccato al lavoro che redarguisce uno suo sottoposto; è solo un figlio il cui dolore si trasforma in rabbia verso quel padre che si è messo in mezzo per difenderlo.
Ma è troppo tardi, ormai, e il padre gli muore tra le braccia, non prima però di avergli fatto un ultimo complimento:
“In fondo siamo padre e figlio, giusto? Infatti i tuoi occhi sono identici ai miei quando ero giovane”.
Un riconoscimento di famigliarità, un elogio indiretto, questo, nonostante Ginoza abbia sempre ripudiato i suoi occhi e soprattutto quello sguardo contenuto in essi, che ha deciso di nascondere dietro un paio di occhiali. Ma più di tutto, quelle parole d’addio contengono una paterna raccomandazione accorata, una sorta di: “sei come ero. Non diventare come sono”.
Ma il figlio non lo rispetta, quel monito.
La sua mente già fragile va in pezzi, il suo Psycho Pass impazzisce, e Nobuchika Ginoza diventa anch’egli, proprio come il padre appena morto, un esecutore.
Il più bello di tutti, a mio parere, dal punto di vista fisico e di modi di fare.
Ma anche il più fragile, e forse il più triste.