Oggi, 2 febbraio 2022, a novant’anni compiuti lo scorso novembre, è venuta a mancare Monica Vitti, una delle più talentuose e delle più amate attrici del cinema italiano. A darne notizia, nella tarda mattinata, è stato il suo compagno di vita e marito Roberto Russo, sposato il 28 settembre 2000 dopo 27 anni di fidanzamento, attraverso Walter Veltroni che su Twitter ha scritto:
“Roberto Russo, il suo compagno di tutti questi anni, mi chiede di comunicare che Monica Vitti non c’è più. Lo faccio con dolore, affetto, rimpianto”.
La notizia, che immediatamente ha fatto il giro della rete ed è stata subito rilanciata da tutti i giornali nazionali e internazionali ha, come era prevedibile che fosse, sconvolto il mondo del cinema e della cultura internazionali. Monica Vitti era conosciuta e amatissima, è stata una delle attrici che nei suoi quasi quarant’anni di carriera, ha conquistato critici, colleghi e spettatori di ogni età.
La storia di Monica Vitti e gli esordi della sua carriera
Monica Vitti, all’anagrafe Maria Luisa Ceciarelli, era nata a Roma il 3 novembre 1931 da padre romano, Angelo Ceciarelli, e da madre bolognese, Adele Vittiglia, da bambina aveva vissuto a Messina per circa otto anni poiché suo padre, un Ispettore del Commercio Estero, aveva per necessità lavorative deciso di trasferirsi nella città siciliana.
A quanto da lei stessa raccontato in più occasioni, in quel periodo fu soprannominata scherzosamente dai familiari “setti vistìni”, per via della sua freddolosità che la portava a indossare i vestiti l’uno sull’altro. Sette sottane, traduzione del nomignolo infantile, diventò poi il titolo del suo primo libro autobiografico, edito nel 1993, seguito da Il letto è una rosa (1995).
L’attrice scoprì la sua passione per il teatro durante la guerra, mentre – come raccontato da lei stessa – giocava con i burattini dilettando i fratelli, distraendoli così da un periodo molto buio e certamente difficile. Nel 1953, spinta dalla sua passione, si diplomò all’Accademia nazionale d’arte drammatica, al tempo diretta dal suo maestro Silvio D’Amico, critico d’arte e docente teatrale, e intraprese quella che fu una breve ma formativa attività teatrale.
La Vitti, che sul palcoscenico si cimentò recitando in Shakespeare e Molière, apprese in quell’occasione la sua ironia e la sua grande capacità di recitare in ruoli drammatici quanto comici e ironici. Particolarmente significativa, infatti, fu la sua esperienza accanto a Sergio Tofano (Il ladro di ragazzi, Un tale che passa, Anche il più furbo ci può cascare) – che fu suo insegnante in Accademia – e con il quale lavorò negli allestimenti delle commedie sul personaggio di Bonaventura, firmate dallo stesso con lo pseudonimo “Sto”. È in questa occasione che l’attrice mostrò la versatilità nella comicità, che ha poi contraddistinto gran parte della sua carriera.
Proprio spinta da Sergio Tofano (Knock, ovvero il trionfo della medicina, Il giornalino di Gian Burrasca, Le inchieste del commissario Maigret), in quegli anni fu invitata ad adottare un nuovo nome e cognome, più artistico. Allora si mise a tavolino, e scelse metà del cognome di sua madre, Vittiglia, alla quale era stata molto legata e che aveva perso in giovane età. Al cognome associò il nome “Monica”, che aveva appena letto in un libro e le suonava meglio.
Fu nel 1955, quindi, che l’attrice esordì come Mariana ne L’avaro di Molière con la regia di Alessandro Fersen (Un colpo di pistola, Il viale della speranza, Disperato addio) al Teatro Olimpico di Vicenza, mentre invece, l’anno a seguire, sempre sulla scena palladiana, sostenne il ruolo di Ofelia in Amleto di Riccardo Bacchelli (Il filo meraviglioso di Lodovico Clo’, Il diavolo al Pontelungo, Oggi domani e mai). Nel 1956 fu anche protagonista di Bella di Cesare Meano (La nascita di Salomè, La zia smemorata, Caterina Sforza, la leonessa di Romagna) al Teatro del Convegno di Milano con la regia di Enzo Ferrieri (Il signor Vernet, Gente magnifica, Cosa sognano le ragazze). A Roma si esibì in una serie di atti unici comici al Teatro Arlecchino, ora il Teatro Flaiano.
Le prime esperienze cinematografiche
Dopo il teatro è arrivata per Monica Vitti l’esperienza nel doppiaggio, e fu proprio in quell’occasione, dalla cabina di regia, mentre l’attrice stava prestando la sua voce a Dorian Gray ne Il grido che il regista Michelangelo Antonioni (Cronaca di un amore, La signora senza camelie, Il filo pericoloso delle cose) disse quella frase destinata a cambiare la sua carriera e la sua vita: “Ha una bella nuca, potrebbe fare del cinema”.
L’incontro con il grande regista fece saltare tutti i progetti dell’attrice che stava per sposarsi con un fidanzato architetto. Via il fidanzato, via la carriera teatrale Vitti divenne la musa del regista e di quella pagina del suo cinema dedicata alla nevrosi della coppia, alle inquietudini della donna moderna.
Uno dietro l’altro arrivarono, diretti da Michelangelo Antonioni, L’avventura (1960), La notte (1961), L’eclisse (1962) e Deserto rosso (1964): quattro donne diverse ma simili, quattro variazioni sullo stesso tema, la tormentata Claudia che cerca l’amica tra le isole delle Eolie, la tentatrice Valentina che “ruba” Mastroianni a Jeanne Moreau, la misteriosa e scontenta Vittoria che si fa corteggiare senza entusiasmo dall’agente di cambio Alain Delon e la depressa e tormentata Giuliana, moglie di un imprenditore insoddisfatta della vita.
Fu, invece, Mario Monicelli (I soliti ignoti, Romanzo Popolare, Signore e signori, buonanotte), su proposta del produttore Fausto Saraceni (Crimen, La mia signora, Bello, onesto, emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata), che mise in risalto la sorprendente verve di attrice comica, dirigendola nella commedia La ragazza con la pistola (1968), in cui Monica Vitti interpretò il ruolo di Assunta Patanè, una ragazza siciliana che insegue fino in Scozia l’uomo che l’ha “disonorata”, l’attore Carlo Giuffrè (Caterina Sforza, la leonessa di Romagna, Don Camillo monsignore… ma non troppo, La bellezza di Ippolita) con l’intento di vendicarsi. Il film ebbe un grande successo e contribuì notevolmente a ridefinire la carriera dell’attrice romana, soprattutto agli occhi del pubblico.
I suoi film più famosi
Sono tanti i film nei quali ha recitato Monica Vitti, impossibile fare una classifica dei più belli, perché l’attrice si è distinta in ognuno di questi oltre che bravura anche per la sua bellezza. Sicuramente vanno citate quelle pellicole in cui si è confrontato “mattatori” del cinema, da Alberto Sordi (I Vitelloni, Un borghese piccolo piccolo, Il marchese del Grillo) a Vittorio Gassman (La grande guerra, Il sorpasso, C’eravamo tanto amati), da Ugo Tognazzi (I cadetti di Guascogna, Domenica è sempre domenica, Sua Eccellenza si fermò a mangiare) a Marcello Mastroianni (Parigi è sempre Parigi, La ragazza della salina, Divorzio all’italiana) e a Giancarlo Giannini (I criminali della metropoli, Film d’amore e d’anarchia – Ovvero “Stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nota casa di tolleranza…”, Fatti di gente perbene). Dopo Amore mio, aiutami (1969) di Sordi, Vedo nudo (1969) di Dino Risi (Operazione San Gennaro, Straziami ma di baci saziami, Il commissario Lo Gatto) e Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca) (1970) di Ettore Scola (Una giornata particolare, Che strano chiamarsi Federico, Romanzo di un giovane povero), non si può non citare il film scritto su misura per le sue ambizioni di trasformismo Noi donne siamo fatte così (1971), un film a episodi che le diede la possibilità di interpretare dodici diversi ruoli.
Non si possono non citare, poi le esperienze con registi stranieri, quali: Il castello in Svezia (1963) per la regia di Roger Vadim (Gli amanti del chiaro di luna, La calda preda, Una femmina infedele), Modesty Blaise, la bellissima che uccide (1966) di Joseph Losey (Pete Roleum and His Cousins, L’inchiesta dell’ispettore Morgan, Messaggero d’amore), La pacifista (1971) di Miklós Jancsó (Le campane sono partite per Roma, I disperati di Sandór, Vizi privati, pubbliche virtù), Il fantasma della libertà (1974) di Luis Buñuel (Un chien andalou – Un cane andaluso, Una donna senza amore, Le avventure di Robinson Crusoe), Ragione di Stato (1978) di André Cayatte (Non c’è fumo senza fuoco, L’accusa è: violenza carnale e omicidio, Ragione di stato). La commedia Scandalo segreto (1990) è stata la sua ultima prova come attrice e l’unica come regista; oltre alla sceneggiatura di questo film ha firmato quelle di Flirt e Francesca è mia (1986) del fotografo di scena, regista e marito Roberto Russo (Flirt, L’addio a Enrico Berlinguer, Francesca è mia).
Nel 1986, inoltre, Monica Vitti, aveva tenuto alcuni corsi di recitazione all’Accademia d’arte drammatica, riavvicinandosi al palcoscenico come attrice, sotto la guida di registi quali Giancarlo Sbragia (La signora non è da bruciare, Il giorno della civetta, La potenza delle tenebre) ed Eduardo De Filippo (Ti conosco, mascherina!, Filumena Marturano, Pane, amore e gelosia). Molto attiva anche in televisione fin a partire dal 1955, ha recitato sul piccolo schermo in commedie, sceneggiati, spettacoli di varietà (uno dei quali, La fuggidiva del 1983, diretto e sceneggiato da lei stessa).
Quella di Monica Vitti è stata dunque una carriera straordinaria e costellata da molti riconoscimenti: 5 David di Donatello come migliore attrice protagonista, più altri quattro riconoscimenti speciali, 3 Nastri d’Argento, 12 Globi d’oro, di cui due alla carriera, e un Ciak d’oro alla carriera, un Leone d’oro alla carriera a Venezia, un Orso d’argento alla Berlinale, una Cocha de Plata a San Sebastián, una candidatura al premio BAFTA.
Nel 1995 ha ricevuto il Leone d’oro alla carriera alla Mostra del cinema di Venezia. Ritirando il premio l’attrice disse:
“Ora posso volare. Ho iniziato a 15 anni, recitare è la mia vita. È come cercare di continuare a giocare, di riconquistare la vita tutti i giorni. Se c’è un mestiere che sappiamo fare bene, è il cinema”.
L’ultima apparizione di Monica Vitti
Negli ultimi anni, a causa di una malattia degenerativa, Monica Vitti non era più apparsa in pubblico ma la sua eredità è rimasta fortissima nel mondo del cinema che, in occasione di anniversari e compleanni, non ha mai mancato di tributarle il giusto e dovuto affetto con mostre fotografiche e rassegne dei suoi più di cinquanta film.
La sua ultima apparizione risale a marzo 2002, giorno in cui la fotografarono all’uscita di un teatro romano: lei e il marito erano andati alla prima di Notre-Dame de Paris. Nello stesso periodo concesse anche l’ultima intervista. Verrà immortalata dai fotografi per le ultime volte, dapprima in giro per le vie di Roma e poi a Sabaudia, in compagnia del marito. È notizia del 6 novembre 2003 il ricovero in ospedale per una frattura del femore. Poi basta. Niente più immagini ufficiali, pubbliche, Monica Vitti si è ritirata dalla vita pubblica a causa della malattia che l’aveva duramente colpita.
L’attrice, che non ha avuto figli, ha sempre avuto accanto lo stesso compagno. Nel 2016, il marito Roberto Russo ha rotto il silenzio, dichiarando false le voci che circolavano sulla presunta degenza dell’attrice presso una clinica svizzera, e confermando che vivesse nella casa romana in cui ha sempre vissuto, accudita proprio da lui stesso e da una badante. La medesima dichiarazione è stata ribadita dal marito anche nel 2020, in occasione dell’89º compleanno dell’attrice.
Nel 2021, in occasione dei suoi novant’anni, le è stato dedicato il docufilm Vitti d’arte, Vitti d’amore, diretto da Fabrizio Corallo (Una bella vacanza, Napoli Signora, Sono Gassman! Vittorio re della commedia) e promosso dalla Rai, che è stato presentato in anteprima alla Festa del cinema di Roma 2021 e poi trasmesso su Rai 3, il 5 novembre 2021.