Diretto da Kyle Patrick Alvarez, “Effetto Lucifero” è un film americano del 2015 che vanta nel proprio cast giovanissimi attori quali Ezra Miller, Michael Angarano e Tye Sheridan.
Il film è incentrato sul controverso esperimento carcerario di Stanford, realmente condotto dallo psicologo statunitense Philip Zimbardo (nella pellicola interpretato da Billy Crudup) e dai suoi colleghi nel 1971, presso l’Università di Stanford.
Ma in che cosa consisteva tale esperimento?
Scopo e metodo
L’obiettivo di Zimbardo era essenzialmente uno: “comprendere i processi di trasformazione che si verificano quando persone buone compiono azioni cattive“. Ovvero, più semplicemente: cosa spinge le persone ad essere cattive?
Per attribuire una risposta a tale domanda, nell’Agosto del 1971, Zimbardo allestì insieme ai suoi colleghi psicologi una simil prigione dotata di celle, refettorio e guardiola, nei sotterranei dell’Università di Stanford, in quel periodo chiusa al pubblico per le vacanze estive.
Successivamente, furono scelti 24 studenti universitari mediante test accurati volti ad eliminare condizioni preesistenti di abusi, malattie o problemi psichici, ed essi furono divisi arbitrariamente metà in guardie e metà in detenuti. Ogni individuo aveva il preciso compito di interpretare al meglio il ruolo che gli era stato attribuito: i detenuti dovevano sottostare a precise regole di comportamento, come in una reale prigione, mentre le guardie avevano libertà di scelta circa l’atteggiamento da assumere nei confronti dei prigionieri. Le loro azioni erano costantemente osservate da Zimbardo e i suoi colleghi mediante telecamere e microfoni nascosti.
Ai detenuti fu chiesto di indossare una divisa numerata, un berretto di plastica ed una catena alla caviglia; alle guardie, invece, un’ uniforme color kaki e degli occhiali scuri. Queste ultime erano inoltre dotate di fischietto, manette e manganello.
Si stimava che l’esperimento sarebbe dovuto durare due settimane, durante le quali i candidati avrebbero guadagnato 15 dollari al giorno.
I primi problemi
Dopo solo due giorni dall’inizio dell’esperimento iniziarono però a verificarsi alcuni episodi di violenza da parte delle guardie, e di riottosa insofferenza da parte dei detenuti, i quali, in segno di protesta per la condizione disumana in cui a loro parere venivano trattati dalle guardie, si rinchiusero nelle proprie celle e si strapparono di dosso i numeri identificativi apposti sulle divise.
Le guardie, in risposta a tale ribellione, inasprirono ancora di più il proprio ruolo di comando: obbligarono i detenuti a cantare canzoni oscene, a defecare in secchi che non venivano mai svuotati, a rimanere per ore in fila senza vestiti e a pulire a mani nude le latrine.
Tali soprusi generarono vari comportamenti di risposta nei detenuti: alcuni si ribellarono, inveendo contro le guardie e tentando di aggridirle fisicamente; altri, al contrario, cercarono di comportarsi da “detenuti modello” al fine di evitare il più possibile le punizioni (un prigioniero venne addirittura soprannominato “Sarge” – ovvero “sergente” – per il proprio modo di seguire pedestremente gli ordini impartitigli.) A quattro individui vennero continui attacchi di panico e crisi emotive, mentre ad un altro si manifestò su tutto il corpo un’eruzione cutanea dovuta allo stress.
La fine – obbligata – dell’esperimento
Al quinto giorno dall’inizio dell’esperimento, Zimbardo e i suoi colleghi si accorsero di come la situazione fosse ormai divenuta insostenibile; furono infatti costretti a sedare, con notevole difficoltà, una rivolta di massa culminante con un tentativo di evasione da parte dei detenuti, i quali mostravano chiari segni di deindividuazione personale e di disgregazione collettiva, che aveva fatto perder loro totalmente i contatti con la realtà.
L’esperimento venne dunque dichiarato concluso dopo solo 6 giorni dal suo inizio, contro i 14 giorni di durata prevista.
Risultati ottenuti: l’Effetto Lucifero
Nonostante le numerose critiche che in seguito subissarono la metodologia adottata da Zimbardo, dichiarata falsificata e non scientifica, il comportamento assunto dai partecipanti all’esperimento venne riconosciuto col nome di “Effetto Lucifero“, sul quale Zimbardo stesso scrisse un libro pubblicato in Italia nel 2005.
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Secondo l'”Effetto Lucifero“, ambienti ed istituzioni possono influire notevolmente sul comportamento e sulla psicologia degli individui, provocando una perdita dell’identità personale al fine di uniformarsi al volere collettivo. I comportamenti sadici e disumani assunti dalle guardie durante i sei giorni dell’esperimento, dunque, sono da ricondursi proprio a tale effetto, ovvero all’idea che i propri atteggiamenti negativi siano giustificati dalla realtà e dal contesto sociale in cui ci si trova ad operare, così come mostrato anche dieci anni prima dallo psicologo statunitense Stanley Milgram, nel suo famoso “Esperimento di Milgram” del 1961.
A dar sostegno alla teoria di Zimbardo, vi sono inoltre le torture subite dai prigionieri iracheni rinchiusi nella Prigione di Abu Grahib perpetrate da militari statunitensi in occasione dell’occupazione americana dell’Iraq cominciata nel 2003; le sevizie e le umiliazioni costantemente inferte da uomini senza alcuna apparente morale umana ai detenuti, e il senso di totale spersonalizzazione mostrato da questi ultimi, sembrano essere i medesimi segni dell’ “Effetto Lucifero” emersi durante l’esperimento carcerario di Stanford.
Dalla realtà al film
Oltre ad “Effetto Lucifero“, vi è un altro film ispirato alle drammatiche vicende dell’esperimento carcerario di Stanford: “The Experiment – Cercasi cavie umane“, del 2001, diretto da Oliver Hirshbiegel. Di esso è stato fatto un remake nel 2010, col titolo abbreviato di “The Experiment“, diretto da Paul Scheuring.