Se il famoso motto del primo Il Gladiatore era ‘Non vi siete divertiti abbastanza?’, quello del secondo film potrebbe essere: ‘Non vi ricorda forse l’epica storia de Il Gladiatore di Ridley Scott e l’eroico Massimo Decimo Meridio?’
Sì, amici, Hollywood non può proprio lasciare in pace le storie che hanno fatto breccia nei nostri cuori, e questa volta ci troviamo di fronte a un sequel pieno di riferimenti al passato, lotte nell’arena e drammi storici.
Ma la domanda è: è davvero all’altezza del suo predecessore? Scopriamolo insieme!
Un passato glorioso che risplende nel presente
Il ritorno alla Roma antica non poteva essere più tempestivo. Con Il Gladiatore II, Ridley Scott cerca di dare voce a una Roma ancora tormentata, una città che, come nella vita di Lucio Vero (interpretato da Paul Mescal), è rimasta bloccata nelle ombre del passato. Sì, perché Lucio non è altro che il bambino che si trovava al fianco di Massimo Decimo Meridio tanti anni fa e che ora, cresciuto, si ritrova ad affrontare una nuova ondata di corruzione, violenza e lotte di potere.
Questa volta, però, non ci troviamo solo davanti a un’opera di vendetta. Ridley Scott, con l’aiuto dello sceneggiatore David Scarpa, ci porta in un territorio diverso: Lucio non è Massimo, e questo è subito evidente. Nonostante gli omaggi continui al protagonista del primo film, Il Gladiatore II riesce a delineare un proprio percorso, uno in cui il protagonista ha delle debolezze differenti, più umane, forse meno eroiche. Lucio vuole vendetta, certo, ma non possiede la stessa fermezza morale del suo mentore. È un gladiatore con un’ombra alle spalle, quella di Massimo, che sembra perseguitarlo in ogni battaglia.
Denzel Washington e Pedro Pascal: i veri gladiatori di questo film
Non posso non menzionare Denzel Washington nel ruolo di Macrino, ex schiavo ora a capo dei gladiatori, e Pedro Pascal come Marco Acacio, il generale romano in una posizione che lo fa sembrare un personaggio positivo, ma che nasconde ben altro. Denzel, lasciatemelo dire, porta sullo schermo una performance che illumina ogni scena in cui appare. Dalle sue battute iniziali, è chiaro che Macrino non sarà semplicemente un personaggio di contorno. E credetemi, ogni volta che Denzel entra nell’arena, la fa da padrone.
Lo stesso si può dire di Pedro Pascal, che regala al personaggio di Marco Acacio una tridimensionalità affascinante. Non è solo un antagonista, è un uomo che ha vissuto, che ha amato, che ha perso. E se Lucio è il protagonista, non è difficile ritrovarsi a simpatizzare per Acacio, anche se potrebbe sembrare strano.
Omaggi e nostalgia: quando troppo è troppo?
Se c’è un aspetto che mi ha fatto storcere il naso, è la riverenza eccessiva verso il film originale. Sì, tutti noi amiamo Massimo, con il suo onore e il suo coraggio, ma a volte sembra che Il Gladiatore II non riesca a staccarsi dall’ombra del suo predecessore. Dialoghi ripetuti, scene speculari, omaggi infiniti… sembra quasi che Scott abbia paura di lasciarci andare, di lasciarci muovere verso qualcosa di nuovo. Eppure, il film ha momenti di pura innovazione, di conflitti interni che non erano presenti nel primo capitolo. Peccato che questa originalità sia spesso soffocata da richiami continui a un passato ormai mitico.
La domanda è: questo film vive di luce propria, o è solo un riflesso del precedente? In molti punti sembra decisamente il secondo caso. Anche l’armatura di Massimo, indossata da Lucio come fosse il costume di un supereroe da fumetto, sembra volerci urlare “ricordatevi di quanto era fantastico Massimo!”. Ma Lucio non è Massimo, e forse è proprio qui che il film perde una grande occasione: quella di lasciar andare il passato e abbracciare una nuova storia, un nuovo eroe.
Scene di battaglia: una festa per gli occhi
Ma non fraintendetemi, Il Gladiatore II non è solo nostalgia. Quando il film decide di essere se stesso, quando smette di omaggiare l’originale e si concentra sulla storia di Lucio, riesce davvero a prendere il volo. Le scene di battaglia sono semplicemente spettacolari. Ridley Scott sa ancora come orchestrare il caos in modo che diventi una coreografia fluida e mozzafiato. Gli scontri nell’arena sono potenti, ben girati, con una regia che non si tira mai indietro di fronte alla violenza, ma che riesce anche a trasmettere la gloria e l’orrore di quegli spettacoli.
E poi c’è Denzel Washington, che, diciamocelo, rende ogni scena in cui si trova un momento iconico. La sua performance è quasi una guida per il giovane Lucio, sia nella trama sia per noi spettatori: “Ehi, guardatemi, è così che si fa!”. E mentre Lucio combatte per trovare un senso, Macrino si diverte a sovvertire le regole del gioco, in un modo che solo Denzel potrebbe fare.
Problemi di identità: Lucio e il peso dell’eredità
Lucio, interpretato da Paul Mescal, è un personaggio interessante ma problematico. La sua intera identità sembra costruita sul tentativo di seguire le orme di Massimo, e il film non fa nulla per nasconderlo. Ci sono momenti in cui Lucio sembra voler essere un nuovo tipo di eroe, più complesso, più umano, ma viene continuamente riportato indietro, quasi bloccato dal peso di quell’armatura iconica. È come se il film avesse paura di andare avanti, come se volesse darci un nuovo protagonista senza mai davvero lasciarci dimenticare il vecchio.
Ecco perché la seconda metà del film inizia a perdere un po’ di mordente. Si ritorna ai vecchi cliché, alle vecchie dinamiche. I gemelli tiranni (interpretati da Joseph Quinn e Fred Hechinger) sono i classici cattivi che ci si aspetta in un film di questo tipo: eccessivi, crudeli, quasi cartoneschi. E mentre all’inizio sembrava che Lucio dovesse affrontare dilemmi morali e scelte difficili, alla fine tutto diventa una questione di vendetta e onore. Il che non è necessariamente un male, ma, ammettiamolo, abbiamo già visto questa storia.
Una regia senza tempo, ma un copione che arranca
Ridley Scott, all’età di 82 anni, dimostra di essere ancora uno dei migliori registi nel mettere in scena sequenze spettacolari e complesse. Le scene nell’arena, gli scontri militari, le coreografie di massa: tutto è perfettamente orchestrato e ci fa sentire al centro dell’azione. È evidente che i 250 milioni di dollari di budget sono stati ben spesi. Le scenografie, i costumi, la fotografia… tutto è di altissimo livello, e si vede.
Il problema è che il copione non sempre riesce a sostenere la regia. David Scarpa cerca di portare qualcosa di nuovo alla storia, ma viene costantemente frenato dalla necessità di omaggiare il passato. Il film ha dei momenti brillanti, ma spesso manca il coraggio di fare il passo successivo. La sensazione che rimane è quella di una storia che avrebbe potuto essere molto più ambiziosa, molto più coraggiosa, ma che alla fine ha deciso di giocare sul sicuro.
Considerazioni finali
Il Gladiatore II è un film che farà felici i fan del primo capitolo, specialmente quelli che amano un bel tuffo nella nostalgia. Ha momenti epici, scene di battaglia mozzafiato, e alcune interpretazioni straordinarie, come quelle di Denzel Washington e Pedro Pascal. Tuttavia, per chi sperava in qualcosa di più, in un sequel che osasse veramente rompere con il passato e raccontare una storia nuova, potrebbe esserci un pizzico di delusione.
Se avete amato il primo Il Gladiatore, amerete anche questo sequel. Ma se, come me, speravate in un racconto che potesse andare oltre il mito di Massimo e creare qualcosa di veramente innovativo, allora potreste trovare questo film un po’ troppo legato alle sue radici. Alla fine della giornata, è un film che riesce a intrattenere, ma che difficilmente riecheggerà nell’eternità.
Se avete visto il film, che ne pensate? Il Gladiatore II è riuscito a regalarvi le stesse emozioni del primo? O credete anche voi che sia rimasto troppo legato al passato? Scrivetemi nei commenti qui sotto!
La Recensione
Il Gladiatore II
Un viaggio epico nella Roma antica: battaglie spettacolari, nostalgia per il passato, ma troppo legato all'ombra del glorioso Massimo.
PRO
- Scenografie spettacolari.
- Ogni scena con Denzel è semplicemente da vedere e rivedere.
- Sequenze d'azione mozzafiato che riportano la gloria nell'arena.
CONTRO
- Il film è troppo legato al mito di Massimo per riuscire a creare una nuova identità propria.