Abbie Hoffman, Jerry Rubin, David Dellinger, Tom Hayden, Rennie Davis, John Fraines, Lee Weiner, indirettamente anche Bobby Seale: questi sono i nomi dei componenti dei Chicago 7 (chiamati per ovvio di cose “Chicago 8” per il breve periodo in cui Seale fu a loro correlato).
Tutto ebbe inizio con il Congresso dei Democratici di Chicago, svolto nel 1968, che venne interrotto il 28 Agosto del medesimo anni da numerosi attivisti che protestavano contro gli orrori della guerra in Vietnam e contro le azioni del presidente democratico allora in carica Lyndon Johnson.
Al vertice di tale gruppo di manifestanti v’erano proprio i Chicago 7, ed anche Bobby Seale, leader del gruppo “le pantere nere“, arrivato a Chicago solo da poco tempo. Alcuni manifestanti occuparono la zona dell’International Amphiteatre, dove si teneva la convention del Congresso.
Era una manifestazione pacifica, la loro, niente armi e nessuna idea di violenza, ma la polizia intervenne subito, iniziando a spargere sangue, lanciando fumogeni e ricorrendo all’uso dei manganelli, il che scatenò la rabbia degli attivisti i quali non si lasciarono mettere i piedi in testa, reagendo a tali soprusi in nome della difesa personale.
Al termine degli scontri, i Chicago 7 e Bobby Seale, considerati i capeggiatori della rivolta, vennero arrestati con l’accusa di istigazione alla sommossa e di associazione a delinquere; il processo cominciò il 20 Marzo del 1969.
Il giudice in carica, che portava il nome di Julius Hoffman, prese fin da subito di mira Bobby Seale, probabilmente a causa del suo colore della pelle (Bobby era infatti nero). Seale era arrivato a Chicago da poco, e non aveva il suo avvocato, al momento del processo: chiese pertanto ad Hoffman di potersi rappresentare da solo, ma gli venne negato. Fu inoltre accusato di oltraggio alla corte ogni qualvolta si rivolgeva al giudice o alla corte, anche se con cortesia. Tale tira e molla andò avanti per settimane, ed alla fine Seale sbottò ed insultò Hoffman, che non perse l’occasione e lo fece imbavagliare e legare. Dopo tale evento, il caso di Seale fu separato da quello degli altri, e venne processato a parte.
Il giudice tuttavia non risparmiò le proprie angherie nemmeno agli altri imputati, dei quali sembrava voler dimostrare a tutti i costi la colpevolezza, anche ricorrendo a metodi non propriamente corretti. Rifiutò infatti di ascoltare testimoni chiave, quale ad esempio il procuratore generale di Johnson, Jeffrey Clark, che era a conoscenza del fatto che era stata la polizia ad istigare alla violenza i manifestanti senza motivo necessario; dichiarò non valide alcune prove importanti, ed accusò di oltraggio alla corte per ben 150 volte i Chicago 7.
Alla fine del processo, avvenuto a febbraio del 1970, Hoffman, Rubin, Hayden e Davis furono condannati a cinque anni di reclusione; Seale a quattro anni; Weiner e Froines furono invece prosciolti.
Nel 1972, però, in appello, tutti i condannati furono assolti, e i Chicago 7 e Seale ritornarono alla loro vita di sempre, ancora e per molto tempo da allora permeata da manifestazioni attiviste contro le ingiustizie del mondo.
“Il processo ai Chicago 7”: un film realisticamente accurato
Da tali vicende è stato ispirato un bellissimo film del 2020, scritto e diretto da Aaron Sorkin, intitolato proprio “Il processo ai Chicago 7“, che vanta tra i suoi interpreti Eddie Redmayne e Sacha Baron Cohen.
Esso è molto fedele al reale svolgimento dei fatti: tutti gli attori protagonisti sono infatti stati scelti in base alla loro somiglianza con le persone vere che avrebbero interpretato; molti dialoghi sono tratti dalle trascrizioni di dibattito, e la conferenza stampa di Hoffman e Rubin si è svolta tale quale nel film come nella realtà.