Il processo ai Chicago 7 è stato realizzato dallo sceneggiatore Aaron Sorkin, già conosciuto per la serie The West Wing e per il discusso The Social Network. Con questo film, Sorkin arriva a un livello di maturità scenografica che gli permette di posizionare il suo film tra le migliori uscite di questo 2020 che volge al termine. Rivolte, reticenze e tabù sono i temi fondamentali che Il processo ai Chicago 7 affronta, all’interno di una macchia nera della giustizia americana.
La trama
La vicenda si svolge a Chicago, correva l’anno 1968. Sul pieno sfondo della guerra del Vietnam, durata circa vent’anni, dal 1955 al 1975, il cui numero di vittime impressionante tanto da far accapponare la pelle ha condotto giovani americani attivisti della Nuova Sinistra a radunarsi e a manifestare in occasione della Convention del Partito Democratico del ’68.
Ad animare gli ideali di protesta si aggiunse la demoralizzazione per l’assassinio sia di Martin Luther King che di Bob Kennedy, avvenuti entrambi sempre nel 1968, figure di rifermento per intere generazioni.
La manifestazione fu guidata da coloro che la stampa ribattezzò come i 7 di Chicago: i fondatori dello Youth International Party, Abbie Hoffman e Jerry Rubin; i rappresentanti degli Students for a Democratic Society, Tom Hayden e Renny Davis; il capo della Mobilization to End the War in Vietnam, David Dellinger; John Froines e Lee Weiner, gli attivisti meno conosciuti (entrambi furono, infatti, gli unici due assolti dal giudice).
A loro 7 fu associato anche Bobby Seale, guida insieme a Huey Percy Newton delle Black Panthers (il movimento rivoluzionario afroamericano) che pronunciò un discorso a Chicago durante la Convention del Partito Democratico senza invece essere presente al famoso corteo. Durante il processo però, Seale venne preso di mira dal giudice Julius Hoffman a causa delle continue interruzioni e il suo procedimento venne separato da quello degli altri sette attivisti.
Il corteo doveva essere una manifestazione pacifica, come afferma David Dellinger parlando con sua moglie e suo figlio prima di partire per Chicago:
“Non violenza. Sempre non violenza, senza nessuna eccezione. Perché la polizia dovrebbe picchiarmi? Ho organizzato centinaia di proteste questa non sarà diversa, e quindi sicuramente non funzionerà. È la convention nazionale democratica tesoro, tutte le telecamere d’America saranno puntate li e Daley non lascerà che la sua città diventi un teatro di guerra. Hoffman e Rubin sono due geni a modo loro”.
Il corteo, invece, confluì in un selvaggio conflitto con la polizia, e la questione che doveva essere appurata era: chi aveva dato inizio alle violenze? Era stata la polizia o erano stati i manifestanti?
Nell’attesa di una risposta a questo quesito, i Chicago seven più Seale vennero accusati di cospirazione. Il processo condotto dal giudice Julius Hoffman iniziò nel 1969 dopo l’elezione dell’appena insediatosi Presidente degli Stati Uniti d’America Richard Nixon.
Se lo scontro tra manifestanti e polizia a Chicago era prevedibile, ciò che non lo era fu il falsissimo e viziato processo che ne seguì, che creò un vero e proprio scandalo.
Il governo di Richard Nixon tentò, infatti, di annientare l’opposizione di sinistra puntando a spaventare e successivamente rimuovere i capifila delle varie organizzazioni. Con ciò, il luogo che più di tutti dovrebbe essere specchio di limpidezza e ascolto e garante di giustizia e correttezza, ovvero il tribunale, viene a perdere il suo senso, perché se il giudice agisce con pregiudizio è chiaro che quella che si mette in atto è una farsa a discapito di molti innocenti.
I dibattiti in aula vengono però resi coinvolgenti dalla sapiente capacità di Aaron Sorkin di utilizzare le parole, nonostante sia chiaro come la decisione del giudice fosse già presa ancor prima di ascoltare qualsiasi dichiarazione.
Uno degli imputati, Bobby Seale, a causa delle continue interruzioni e degli oltraggi alla corte, viene addirittura immobilizzato, picchiato e imbavagliato, tanto che sarà l’avvocato dell’accusa, per senso di giustizia, a chiedere di conferire col giudice:
“Vostro onore, il nostro imputato è legato e imbavagliato in un tribunale americano. Vostro onore a questo punto l’accusa vuole fare istanza per separare Bobby Seale dal resto degli imputati e che il suo procedimento sia considerato nullo”.
Ma le discriminazioni non sono solo verso le persone di colore. Le discriminazioni miravano a mettere a tacere tutte le voci di contrasto che si esposero contro la guerra in Vietnam, a tutela di un neo-governo che mal tollerava critiche verso le sue decisioni.
Il finale non è la conclusione della storia
Gli imputati vennero ritenuti colpevoli per incitamento alla rivolta dal giudice Hoffman, ma la corte d’appello del settimo distretto ribaltò il verdetto, anche grazie al fatto che durante un’inchiesta il 78% degli avvocati di Chicago ritenne il giudice Julius Hoffman inqualificabile.
A seguito di questo processo, ognuno degli imputati seguì il corso della sua vita, chi candidandosi in parlamento chi scrivendo libri.
Quello che rimane è la macchia nera all’interno della giustizia americana e quell’unione che fa la forza sempre, in ogni ambito.
La sceneggiatura di Aaron Sorkin ha il merito di mettere in mostra agli occhi del mondo intero come anche i massimi sistemi possano sbagliare, e come non siano mai i giudici o i poliziotti come istituzioni a fare la differenza, quanto le persone che ricoprono quei ruoli. E a maggior ragione se gli imputati in questione sono persone che lottano per porre fine a una sanguinosa guerra, vadano ascoltati senza pregiudizi e preconcetti, che è poi il messaggio centrale di Il processo ai Chicago 7.
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La Recensione
Il processo ai Chicago 7
Da poco su Netflix, Il processo ai Chicago 7, il film di Aaron Sorkin che mette in scena le ribellioni contro la guerra del Vietnam e il falsissimo processo che ne seguì dopo gli scontri di manifestanti e polizia.
PRO
- Il cast è indovinatissimo in ogni ruolo e la vicenda viene ben raccontata. Interessanti anche i dialoghi, mai banali.
CONTRO
- La storia è molto seria, ma a tratti il film appare quasi come una commedia.