È il 18 Febbraio del 1952.
La costa orientale degli Stati Uniti è colpita da un noreaster (termine che indica un violentissimo ciclone extratropicale che si sviluppa nella maggior parte dei casi tra la fine dell’autunno e l’inizio della primavera); la sorte peggiore tocca a due petroliere, la SS Fort Mercer e la SS Pendleton, disperse a qualche miglia di distanza l’una dall’altra al largo della costa di Rock Harbor, in Massachusetts.
Entrambe vengono spezzate in due dalla forza del vento e del mare, ma una differenza c’è: la prima infatti riesce precocemente a lanciare un segnale d’allarme, una richiesta di aiuto, che mobilita immediatamente i soccorsi, i quali giungono in rapido tempo a destinazione, siccome è ancora giorno e la potenza del mare non è arrivata ancora al suo culmine. Alla seconda non tocca invece la stessa fortuna. La Pendleton infatti è priva di capitano, disperso in mare, senza timone, senza radio. L’acqua è ovunque. L’unica cosa che l’equipaggio può fare è suonare la sirena di soccorso, ancora e ancora, nella speranza di un miracolo.
Il miracolo accade.
A terra tale richiamo viene udito da un addetto portuale, che comunica il fatto alla guardia costiera. Si mobilita così un gruppo di uomini capitanato dal timoniere Bernard Webber (oltre a lui ci sono il motorista Andrew Fitzgerald e i marinai Richard Livesey ed Ervin Maske), che a bordo della motovedetta CG-36500 parte per quella che è definita una missione impossibile al limite del suicidio, viste le condizioni di tempesta in cui ancora verge il mare, dominato da imponenti onde inarrestabili.
Il gruppo tuttavia non si fa scoraggiare e, animato dalla dirompente ed umana voglia di portare in salvo i marinai della Pendleton, parte lo stesso. Non è facile però. La bussola va in avaria, nessuna luce funziona se non quella del faro della motovedetta, che tuttavia non è di grande aiuto. Ma gli uomini vanno avanti, ancora e ancora, intrepidi.
Dopo ore estenuanti, in piena notte, finalmente la petroliera viene avvistata.
I 32 uomini ancora vivi a bordo di essa, sfiniti ma in buona salute, vengono così caricati sulla piccola barca di Webber e i suoi, e si devono stringere un bel po’ perché ci stiano tutti, siccome la motovedetta è progettata per portare al massimo una ventina di persone. Inizia così il viaggio di ritorno, completamente al buio, completamente alla cieca, siccome anche al porto tutte le luci sono spente a causa di un blackout causato dalla tempesta che continua a sferzare.
Ma a terra, fortunatamente, c’è qualcuno che ha un’idea brillante, probabilmente la futura moglie di Webber, Miriam Pentinen: accendere i fari delle macchine, in modo da dare agli uomini dispersi in mare almeno una parvenza di visibilità. Una scelta che non solo è saggia, ma si mostra anche essere giusta e vincente. La CG-36500 riesce ad approdare, e mentre la tempesta si calma, gli uomini bevono insieme, sani, salvi e all’asciutto. Finalmente.
Tra i tanti abbracci e ringraziamenti, quella sera, un brindisi doveroso viene fatto in onore di Webber, di Fitzgerald, di Livesey e di Maske, che hanno sfidato le acque in tempesta e lo scoraggiamento di tutti i loro colleghi, dando adito a quello che è stato riconosciuto come il più grande salvataggio compiuto da una piccola imbarcazione della guardia costiera statunitense, premiata successivamente con una medaglia al merito.
“L’ultima tempesta”: un film su Webber e i suoi
Alla straordinaria vicenda del salvataggio degli uomini della SS Pendleton è stato ispirato il film statunitense del 2016 “L’ultima tempesta”, diretto da Craig Gillepsie.
Nel cast figurano attori quali Chris Pine (Berard Webber), Ben Foster (Richard Livesey), Kyle Gallner (Andrew Fitzgerald) e John Magaro (Ervin Maske), oltrechè Eric Bana, Casey Affleck e Holliday Grainger.