Per capire meglio questa miniserie made in Italy dal titolo La lunga notte – la caduta del duce bisogna conoscere due cose: gli avvenimenti reali di quei giorni che segnarono la caduta del fascismo e poi la figura di Dino Grandi, famoso per la presentazione dell’ordine del giorno al Gran consiglio del fascismo del 25 luglio 1943.
Qual è la storia vera su cui si basa la miniserie La lunga notte – la caduta del duce?
La caduta del fascismo in Italia fu un processo complesso e sfaccettato, che vide il suo punto di svolta con lo sbarco alleato in Sicilia, noto come Operazione Husky, nel luglio 1943. Questo evento segnò l’inizio della crisi del governo di Benito Mussolini. Nonostante un’iniziale resistenza, le forze italiane furono rapidamente sopraffatte. In particolare, ad Augusta, una delle località più fortificate dell’isola, si arresero senza combattere. Questa rapida disfatta dimostrò che la difesa dell’isola era insostenibile.
Mussolini, realizzando la gravità della situazione, tentò di stabilire contatti con gli Alleati. Il 16 luglio, Giuseppe Bastianini, sottosegretario del governo, incontrò Mussolini per discutere un possibile messaggio a Hitler e la proposta di aprire canali di comunicazione con gli Alleati. L’emissario scelto per questa missione fu Giovanni Fummi, un banchiere del Vaticano. Bastianini, quella sera stessa, incontrò il cardinale Luigi Maglione per discutere la situazione.
All’interno del fascismo, la percezione che la guerra fosse perduta si stava diffondendo, soprattutto dopo la caduta di Tunisi e la resa di Pantelleria. Molti fascisti si sentivano traditi da Mussolini e cercavano una via d’uscita. Il problema era trovare un’istituzione adatta a guidare il cambiamento. Si presentavano quattro opzioni: il Partito Fascista, la Camera dei fasci e delle corporazioni, il Senato e il Gran consiglio. Solo gli ultimi due sembravano adatti per intraprendere azioni concrete.
Il 22 luglio, una mozione di 61 senatori per convocare il Senato fu bloccata da Mussolini. La situazione si stava facendo sempre più tesa, e diversi membri del Gran consiglio, ormai contrari a Mussolini, iniziarono a pianificare un cambio di potere.
Dino Grandi, un gerarca fascista, propose un piano audace: deporre Mussolini, affidare il governo al Re e attaccare l’esercito tedesco in Italia. Questo era visto come l’unico modo per mitigare le condizioni imposte dagli Alleati alla Conferenza di Casablanca. Altri gerarchi, come Roberto Farinacci e Carlo Scorza, avevano visioni opposte, proponendo un’alleanza totale con la Germania. Tuttavia, Farinacci era isolato e nessuno dei gerarchi moderati aveva abbastanza forza politica per portare avanti il loro piano. Scorza, pur credendo in una soluzione totalitaria, aveva una visione diversa da Farinacci, pensando che il potere dovesse essere assunto direttamente dal Partito fascista.
Alla fine, Mussolini acconsentì a convocare una riunione del Gran consiglio, che non si era più tenuta dal 1939. Questo fu un passo significativo, poiché il Gran consiglio era visto come un’istituzione che poteva legittimamente influenzare il corso degli eventi in Italia.
Parallelamente agli sviluppi politici interni al Partito fascista, c’era un movimento significativo all’interno delle forze armate italiane. Personaggi chiave come il Capo di Stato Maggiore generale Vittorio Ambrosio, insieme a Giuseppe Castellano e Giacomo Carboni, stavano lavorando per distaccare l’Italia dall’alleanza con la Germania e per la destituzione di Mussolini. Questi sforzi erano indipendenti dalle manovre politiche interne al fascismo e miravano a sostituire Mussolini con un leader militare, come Pietro Badoglio.
Nel frattempo, le informazioni sui movimenti per deporre Mussolini raggiunsero Heinrich Himmler (capo delle SS) e i tedeschi, aumentando le tensioni e l’incertezza sulla lealtà dell’Italia all’Asse. La situazione militare dell’Italia era disperata, con la caduta dell’esercito in Sicilia e la crescente probabilità di un’invasione del territorio italiano senza un significativo aiuto tedesco.
Il 19 luglio 1943 si tenne un incontro cruciale tra Mussolini e Hitler a Feltre, dove discussero la situazione bellica. Durante questo incontro, Hitler esprimeva frustrazione e richiedeva misure drastiche, mentre Mussolini appariva incapace di rispondere efficacemente. La riunione fu interrotta dalla notizia che Roma stava subendo un pesante bombardamento alleato per la prima volta. Questa scena viene ripresa molto bene anche nella serie TV, dove viene fatto notare il rimprovero di Hitler a Mussolini.
Dopo l’incontro infruttuoso, l’attenzione si spostò sul Gran consiglio del fascismo e sull’ordine del giorno presentato da Dino Grandi. Questo documento proponeva di trasferire i poteri di guerra al Re e rappresentava un passo fondamentale per la rimozione di Mussolini. La versione originale dell’ordine del giorno dimostrava che il Gran consiglio aveva il potere legale di deporre il Duce, nonostante le leggi fascistissime del 1925 avessero distorto la Costituzione.
La sera del 24 luglio, il Gran consiglio si riunì e mise ai voti l’ordine del giorno di Grandi, che passò con la maggioranza. Questo voto era il segnale che Vittorio Emanuele III stava aspettando per agire. Il 25 luglio, dopo aver appreso l’esito della votazione, il Re prese la decisione di destituire Mussolini e sostituirlo con Badoglio, segnando la fine dell’era fascista in Italia e l’inizio di una nuova fase nel conflitto bellico del paese.
Chi era Dino Grandi?
Dino Grandi è stato una figura chiave nella storia politica italiana, in particolare per il suo ruolo nell’esautorazione di Mussolini. Nato nel 1895, Grandi divenne noto per la sua intensa attività politica e diplomatica. Già nei mesi precedenti al 25 luglio 1943, Grandi, insieme a Giuseppe Bottai e Galeazzo Ciano, aveva capito che l’unica via per salvare l’Italia dalla disfatta militare era rimuovere Mussolini. Per loro, Mussolini aveva compromesso l’ideale fascista originario, identificandosi totalmente con il regime. Grandi vedeva la necessità di un sacrificio politico del fascismo e del Duce stesso per preservare l’amore per la Nazione.
Grandi, nei suoi diari, esprimeva chiaramente la sua visione che il fascismo dovesse terminare per riconquistare le libertà perdute. La sua posizione era però leggermente diversa da quella di Bottai, che attribuiva a Mussolini la sola responsabilità delle deviazioni del fascismo, e di Ciano, che cercava una soluzione pragmatica “all’italiana”. La rivalità tra Grandi e Mussolini era antica, risalente al 1914, e si ipotizza che il desiderio di Grandi di vendicarsi su Mussolini potesse essere stato un fattore nel suo piano.
Grandi fu l’artefice dell’ordine del giorno che portò alla caduta di Mussolini il 25 luglio 1943. Il suo ruolo nell’elaborazione di questo documento e il suo impegno nel persuadere gli altri membri del Gran consiglio del fascismo furono determinanti. Inoltre, Grandi non agì in coordinamento con il Re Vittorio Emanuele III. Durante un’udienza privata con il sovrano il 4 giugno, Grandi espose il suo piano, che includeva l’arresto immediato di Mussolini e un governo successivo che avrebbe dovuto rivolgere le armi contro l’alleato tedesco. Il Re supportò Grandi nel suo tentativo, ma rimase scettico sulla possibilità di combattere contro i tedeschi.
Dopo il colpo di Stato che portò alla caduta di Mussolini, la vita di Dino Grandi subì una svolta drastica. Dopo la fine della guerra, si trasferì inizialmente in Spagna e poi in Portogallo, dove rimase fino al 1948. Durante questo periodo, la sua situazione finanziaria era precaria: diede ripetizioni di latino per sbarcare il lunario mentre sua moglie lavorava come modista.
Nel 1947, Grandi fu processato come ex gerarca fascista, ma venne assolto da tutte le accuse di coinvolgimento in attività criminose. La fortuna di Grandi cambiò negli anni ’50 quando iniziò a lavorare per la Fiat in ruoli di rappresentanza e divenne consulente per le autorità statunitensi, in particolare per l’ambasciatrice a Roma, Clare Boothe Luce. Questo ruolo gli permise di fungere da intermediario in operazioni politiche e industriali tra Italia e Stati Uniti. In seguito, si trasferì in America Latina, principalmente in Brasile, dove divenne proprietario di una tenuta agricola.
Il ritorno definitivo in Italia avvenne negli anni ’60. Grandi stabilì una fattoria modello nella campagna di Modena, ad Albareto, e si stabilì poi a Bologna nel centro storico, dove visse fino alla sua morte nel 1988, poco prima di compiere 93 anni. Tre anni prima della sua morte, aveva pubblicato la sua autobiografia politica, “Il mio paese”.
Durante il suo tempo in Italia, Grandi stabilì un rapporto intellettuale ventennale con Renzo De Felice, il più importante storico del fascismo. Questo rapporto testimonia l’importanza di Grandi come figura storica e la sua influenza nel panorama politico italiano. È sepolto nel cimitero monumentale della Certosa di Bologna.
La recensione di La lunga notte – la caduta del duce
Con la regia di Giacomo Campiotti e un cast che include Alessio Boni nel ruolo di Dino Grandi, questa serie sembrava promettere un’immersione accurata e coinvolgente in un periodo storico cruciale dell’Italia. Tuttavia, dopo aver assistito ai primi episodi, la mia esperienza è stata mista.
Il primo aspetto che colpisce è la mancanza di fedeltà nei costumi e nelle scenografie rispetto al periodo storico rappresentato. Questo elemento, che può sembrare secondario, in realtà ha un impatto significativo sull’autenticità della narrazione, rendendo a tratti l’esperienza meno immersiva. Inoltre, la serie introduce una sottotrama sentimentale tra la nipote di Grandi e il figlio di un suo amico, che si rivela poco pertinente e non contribuisce in modo significativo alla comprensione degli eventi storici.
Nonostante alcuni momenti di intensità drammatica, non tutti i personaggi riescono a essere convincenti o a trasmettere la complessità dei loro ruoli storici. Per esempio, la figura di Mussolini, interpretata da Duccio Camerini, tende a volte a scivolare nella caricatura, perdendo così l’opportunità di esplorare più a fondo la sua complessità come leader e come uomo. E tra l’altro sembra idolatrare troppo Hitler ma sotto sotto, il vero Mussolini, in quell’epoca non si fidava tanto di Hitler come in passato.
Mettendola a confronto con produzioni televisive di alto livello come “The Crown“, mi sono reso conto di alcune discrepanze notevoli. The Crown ha mostrato come legare efficacemente i personaggi all’evoluzione della trama, qualcosa che “La Lunga Notte” sembra non riuscire a fare. In The Crown, i personaggi sono sviluppati in maniera complessa e credibile, un aspetto che manca nella serie nostrana.
Il modo in cui i personaggi sono ritratti in “La Lunga Notte” appare spesso esagerato. Gli attori sembrano dare vita a performance troppo teatrali, piene di drammi eccessivi, che non riescono a creare un senso di intimità o una narrazione a più livelli. Siamo nel 2024 e mi aspetterei un approccio più maturo e raffinato nella rappresentazione storica.
La serie tenta di umanizzare le figure chiave del fascismo, ma il risultato è spesso un ritratto moralmente ambiguo e confuso. Ci si aspetterebbe una rappresentazione più accurata e meno romantica di personaggi storici come Mussolini, Grandi, Ciano e altri, che, come sappiamo dalla storia, erano principalmente motivati da interessi personali piuttosto che dal bene del paese.
Inoltre, la rappresentazione della famiglia reale, la Casa Savoia, nella serie non sembra fornire un’analisi profonda dei loro ruoli o delle loro azioni durante il periodo storico. Questo aspetto della serie è particolarmente deludente, considerando il potenziale di esplorare una parte critica della storia italiana.
D’altra parte, la serie riesce a mettere in luce alcuni aspetti meno conosciuti della storia italiana, come il ruolo della famiglia reale in questo contesto. La lotta interna tra il principe, la principessa e il re offre una prospettiva interessante sulle dinamiche di potere e sulle strategie adottate per cercare di salvaguardare la corona. In questo senso, la serie fornisce spunti di riflessione su un aspetto della storia italiana che molti potrebbero non conoscere approfonditamente.
Arrivando alla conclusione, la serie solleva un interrogativo importante riguardo al periodo post-fascista e al ruolo della Democrazia Cristiana nella storia italiana. Riflettendo sulla rovina che ha segnato l’Italia in quegli anni, emerge spontanea una domanda: sarebbe stato diverso sotto un governo guidato dal Re Umberto? Avrebbe potuto gestire meglio la criminalità e le sfide politiche del dopoguerra?
Questa domanda apre una riflessione più ampia sulle potenziali alternative storiche e sulle scelte che hanno plasmato l’Italia contemporanea. “La Lunga Notte”, pur con i suoi difetti e le sue esagerazioni, ci spinge a considerare queste possibilità e a riflettere sulle complesse dinamiche politiche e sociali di un’epoca cruciale per il nostro paese. La serie, infine, dimostra che la televisione può essere non solo un mezzo di intrattenimento, ma anche uno strumento per stimolare il dibattito e la conoscenza storica, anche se in questo caso con risultati non pienamente convincenti.
La Recensione
La lunga notte - la caduta del duce
In conclusione, "La Lunga Notte - La caduta del duce", nonostante il suo potenziale e qualche nome noto, tra cui spicca Alessio Boni nel ruolo di Grandi, non riesce a offrire una rappresentazione convincente o profondamente coinvolgente di un periodo tanto complesso e significativo della storia italiana. La serie appare come un prodotto fuori dal tempo, incapace di competere con gli standard moderni di narrazione e sviluppo dei personaggi.
PRO
- Offre una prospettiva su eventi storici meno conosciuti, come le dinamiche interne alla Casa Savoia.
CONTRO
- La rappresentazione dei personaggi storici è spesso esagerata e poco fedele alla realtà.
- Alcune sottotrame, come la storia d'amore secondaria, non aggiungono valore al racconto principale.
- Mancanza di fedeltà nei costumi e nelle scenografie, riducendo l'autenticità storica della serie.