Giugno, 1962.
Siamo ad Alcatraz, carcere federale statunitense di massima sicurezza, luogo da cui si sostiene che nessuno potrebbe mai fuggire. La prigione è infatti collocata sull’isola omonima dispersa nei pressi della baia di San Francisco, e si dice che le acque lì intorno siano percorse da correnti potentissime e traboccanti di squali feroci (tanto da attribuirle anche l’appellativo di “Sharkatraz“).
Arriva l’11 Giugno.
È notte, e qualcosa si muove, nella prigione. O meglio, qualcuno. Sono tre uomini: Frank Morris, e i fratelli Clarence e John Anglin, tre rapinatori di banca amici di lunga data (si erano conosciuti al penitenziario di Atlanta, anni prima, dal quale progettarono una fuga nel 1957 che però fallì, e che li spedì di corsa ad Alcatraz).
Dovrebbero essere nelle loro celle da bravi detenuti, e invece no. Tutto ciò che hanno lasciato in quella piccola stanza angusta che per molto tempo è stata la loro dimora sono un fantoccio nel letto, per ingannare le guardie che fanno la ronda notturna, e un buco nella parete, vicino al lavandino, dal quale sono riusciti a passare e raggiungere l’esterno della cella.
Un piano perfetto…
Facciamo un passo indietro: qual era il piano per la fuga da Alcatraz?
Tutto inizia durante il mese di Dicembre del 1961: ci sono Frank Morris e i fratelli Anglin, ma insieme a loro figura anche un altro individuo, il quarto della banda, un uomo allampanato di nome Allen West, che, in seguito al dirottamento di un aereo anni prima, venne mandato alla prigione di Atlanta, dove conobbe gli altri tre e con i quali organizzò il fallimentare piano di fuga che gli spalancò le porte di Alcatraz, nel 1957.
Seduti a un tavolo durante l’ora d’aria, i quattro uomini, sotto la leadership di Morris – considerato il più intelligente tra loro e con alle spalle diversi tentativi ben riusciti di evasione – iniziano a discutere di un piano per lasciare Alcatraz.
Una volta ultimati al meglio i dettagli, non perdono tempo: nei sei mesi successivi lavorano senza sosta al fine di allargare il condotto di areazione situato sotto il lavandino delle proprie celle, in modo da creare un’apertura abbastanza grande da poterci tranquillamente passare.
Ma che cosa possono usare, degli uomini rinchiusi in un carcere di massima sicurezza, per raggiungere tale scopo?
Due strumenti: un semplice cucchiaio di metallo rubato durante l’ora di pranzo dal refettorio, ed una trapano rudimentale fai-da-te creato a partire dal motore di un’aspirapolvere anch’esso rubato, e non che ci sia qualcosa di cui stupirsi in questo: del resto tutti e quattro, ciascuno a modo suo, sono dei ladri, per cui rubare è la loro specialità.
Ma qui sorge un’altra domanda: come riuscire a coprire il rumore prodotto dai propri lavori illeciti?
Presto detto: lavorano durante l’ora di musica del penitenziario, o quando Morris – colui che è il più avanti con lo scavo – suona la fisarmonica.
Per nascondere il buco sempre più largo aperto sotto il lavandino, invece, dipingono carte da gioco e cartoni con le medesime tonalità del muro spaccato, in modo che dall’esterno sia quasi impossibile notare qualcosa.
Il piano procede ormai a gonfie vele, bisogna solo pensare a come evitare che la loro assenza venga notata immediatamente – al fine di avere il tempo necessario per fuggire indisturbati – e a come procedere una volta fuori dalle celle.
A tali questioni sono fornite due soluzioni, da Morris, la testa del gruppo: creare dei fantocci da mettere nei letti per simulare la presenza di una persona, e una zattera a bordo della quale attraversare la baia di San Francisco. I fantocci sono realizzati con un mix di cartapesta, dentifricio, carta igienica e calcestruzzo; la zattera, invece, con una cinquantina di impermeabili – anch’essi rubati, ovviamente – legati insieme, i quali, una volta gonfiati, avrebbero creato un simil gommone.
Torniamo ora alla sera dell’11 Giugno del 1962: Il piano è ultimato, la fuga sta per cominciare.
…ma non per tutti
Morris e i fratelli Anglin, dopo aver opportunatamente piazzato sotto le coperte dei propri letti i fantocci, riescono a passare attraverso il buco scavato sotto al lavandino e ad uscire dalla cella; la stessa cosa però non si può dire per Allen West: in seguito ad un problema di valutazione, infatti, l’apertura da lui creata è troppo piccola, e non permette il passaggio del suo corpo, per quanto esile sia. L’uomo tuttavia non demorde, e alla fine riesce ad allargare abbastanza il foro. Una volta uscito dalla cella, si dirge sul tetto, come ripetuto più volte durante l’organizzazione del piano.
Ma qui ha un’altra brutta sorpresa: Morris e i fratelli Anglin non ci sono più, e non ci sono neanche gli impermeabili. Non che ci sia molto da pensare o cercare di capire: lo hanno lasciato lì.
West rimane per un po’ a godersi l’aria fresca, poi, verso l’alba di quello che ormai è il 12 Giugno, rientra nella propria cella, e si mette a dormire.
Una fuga riuscita?
I secondini di Alcatraz si accorsero dell’assenza di Morris e degli Anglin soltanto la mattina del 12 Giugno, trovando i fantocci sistemati nel letto.
Allen West collaborò con l’FBI, denunciando di fatto i suoi compagni e spiegando meticolosamente quel piano così preciso che, a suo dire, era stato lui stesso ad organizzare, non Frabk Morris.
Iniziarono pertanto subito le ricerche dei tre uomini, nonostante secondo il direttore del carcere, Olin Blackswell, era impossibile che fossero sopravvissuti alle indomite acque gelide della baia.
Poco tempo dopo, il 14 Giugno, fu ritrovato disperso in mare un fascicolo avvolto nella plastica contenente foto di amici e parenti degli Anglin, mentre il 21 Giugno e i giorni successivi vennero a galla parti strappate degli impermeabili usati da Morris e gli altri per costruire il gommone di fortuna.
Nonostante però non fosse stato trovato alcun corpo, l’FBI dichiarò ben presto che Frank Morris e Clarence e John Anglin erano verosimilmente annegati nella baia di San Francisco.
Numerose furono però, negli anni a venire, le dicerie sul fatto che i tre fuggitivi di Alcatraz in realtà ce l’avessero fatta davvero, e che fossero ancora in giro da qualche parte, vivi e vegeti: nel Gennaio del 1965, ad esempio, giunse voce all’FBI che Clarence Anglin fosse stato avvistato nel Sud America, ma gli agenti che vennero mandati sul posto per indagare non ne trovarono alcuna traccia; due anni dopo, nel 1967, un anonimo telefonò alla polizia dicendo di conoscere da tanti anni Frank Morris, e di averci parlato qualche giorno prima nel Maryland, ma alla richiesta degli agenti di fornire maggiori dettagli interruppe bruscamente la chiamata.
Tra gli anni ‘60 e ’70 ci furono, secondo le stime dei federali, almeno sei o sette avvistamenti dei due fratelli Anglin, tra la Georgia e il nord della Florida, e i loro parenti mostrarono alcune lettere e cartoline scritte – apparentemente – da John Anglin, insieme ad una foto che li ritraeva entrambi in Brasile nel 1975, ma la veridicità di queste informazioni è stata messa in discussione.
L’ultima segnalazione circa gli Anglin risale ai primi anni 2000, quando l’ufficio di polizia ricevette notizia dell’avvistamento di Clarence Anglin da qualche parte in Brasile.
Di Frank Morris invece non venne mai più data notizia.
Ancora oggi il mistero circa la reale o meno riuscita della fuga da Alcatraz nel 1962 permane.
“Fuga da Alcatraz”: il film
Ispirato alla misteriosa evasione da quella che fino ad allora era considerata la più sicura prigione del mondo, “Fuga da Alcatraz” è un film statunitense del 1979 diretto da John Siegel, adattamento del libro “Escape from Alcatraz” scritto da J.Campbell Bruce.
In esso figurano Clint Eastwood dei panni di Frank Morris e Fred Ward e Jack Thibeau in quelli, rispettivamente, di John e Clarence Anglin.
Allen West, invece, non viene citato nella pellicola, probabilmente per motivi di privacy (quando il film è stato girato era infatti ancora vivo): a lui è però ispirato il personaggio di Charley Puzo (Charley Butts, nella versione originale americana), interpretato dall’attore Larry Hankin.
Le riprese del film avvennero all’interno della reale prigione di Alcatraz, 15 anni dopo la sua chiusura definitiva in qualità di carcere federale.