Le Ali della mia Solitudine segue la storia di Dan, un talentuoso artista di graffiti, che si mantiene con furti lampo. Però, la liberazione di suo padre dalla prigione riaccende i suoi demoni interiori, costringendolo a fuggire.
Diretto da Mario Casas, Le Ali della mia Solitudine è un film davvero scomodo. Lo guardi con gli occhi spalancati e con la sensazione che qualcosa possa andare storto da un momento all’altro. Anche le scene in cui i personaggi – Dan (Óscar Casas), Vio (Candela González) e Reno (Farid Bechara) – si ritrovano a guardare un treno da un ponte sono cariche di un senso di presagio. Qualcosa ti fa pensare che questa sarà l’ultima volta che questi amici saranno insieme e felici. Che presto saranno inghiottiti da una tragedia inevitabile.
La camera è sempre all’erta, irrequieta e inquieta (Edu Canet è il direttore della fotografia). Ci preoccupiamo per i personaggi e il loro futuro. Dopo un po’, però, ci rendiamo conto che questi personaggi non hanno un futuro luminoso. Non appena una rapina va male e Dan colpisce un poliziotto in testa, capiamo immediatamente che le cose peggioreranno da lì in poi. Anche quello spacciatore emana vibrazioni negative, rendendo il climax inevitabile e non sorprendente. Comunque le scelte del personaggio di Dan mi sembrano sempre abbastanza ridicole.
Il film si apre con una lunga inquadratura apparentemente ininterrotta, che sembra in parte ostentata e in parte agile. Casas ha realizzato un film tecnicamente buono, ma la sceneggiatura soffre un po’. I personaggi non riescono a suscitare la tua curiosità. Non ti chiedi cosa li abbia spinti in questa vita o come Vio, Reno e Dan si siano conosciuti in primo luogo. Non ti interessa la loro storia. Il film ci coinvolge immediatamente nel presente e continua a esplorare territori cupi.
A parte la paura, non provi altro guardando questo film. I personaggi si rilassano, sorridono, si baciano e guidano una bicicletta. Tuttavia, lo spettatore vede tutto sapendo che la felicità è solo temporanea. Le Ali della mia Solitudine è concepito in modo ristretto. Salta vigorosamente all’interno di una scatola confinata con vigore e apprensione. I personaggi sono abbastanza simili a burattini e non suscitano molte emozioni nel pubblico. Le ultime scene, in particolare, non hanno funzionato per me. La pausa sul fotogramma, l’ambiguità, rende tutto ridicolo. Non c’è alcuna poignanza. “Non c’è alcuna poignanza” significa che il film non riesce a suscitare emozioni profonde o un sentimento di tristezza commovente. La parola “poignanza” deriva dal francese e indica una qualità che tocca il cuore, che provoca un senso di compassione o tristezza. In questo contesto, penso che il film, nonostante i suoi tentativi, non è riuscito a creare un legame emotivo forte con lo spettatore, lasciando una sensazione di superficialità emotiva.
Tuttavia, quasi tutto su Le Ali della mia Solitudine può essere accettato positivamente. Dopotutto, non è un film terribile. È realizzato con molta competenza. Gli attori non sono nemmeno malaccio. Forse il modo più accurato di descrivere questo film è etichettarlo come una vetrina. Ora vediamo quando Casas realizzerà il suo vero film.
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La Recensione
Le Ali della mia Solitudine
Le Ali della mia Solitudine segue Dan, un artista di graffiti, la cui vita è segnata da furti e conflitti interni. La liberazione del padre dal carcere riaccende i suoi demoni, spingendolo alla fuga. La regia di Mario Casas offre un'atmosfera tesa, con una fotografia inquieta che riflette la precarietà dei personaggi. Nonostante alcune lacune nella sceneggiatura e un'emozionalità limitata, il film brilla per la sua realizzazione tecnica e le performance convincenti degli attori, ma manca di profondità emotiva e di un finale appagante.
PRO
- Fotografia e regia tecnicamente buone creano un'atmosfera coinvolgente e visivamente stimolante.
- Performance solide degli attori, che danno vita a personaggi interessanti nonostante alcune limitazioni del copione.
CONTRO
- Mancanza di profondità emotiva, rendendo difficile stabilire un legame emotivo con i personaggi.
- Finale deludente e poco convincente, che lascia lo spettatore insoddisfatto e privo di una chiusura significativa.