Nonostante il talento di Knightley, Carrie Coon e Chris Cooper, l’adattamento cinematografico della storia crime dello Strangolatore di Boston di Disney Plus non riesce a risolvere il caso.
Per decenni, i film di genere poliziesco sono stati un elemento fisso del panorama cinematografico. Che fossero ispirati ai titoli dei giornali o frutto della fantasia degli scrittori, gli spettatori potevano contare su drammi incentrati più sulla giustizia che sul mistero, grazie all’abilità investigativa delle forze dell’ordine, giornalisti intraprendenti, o entrambi.
In questo scenario, entra l’ammirevolmente ambizioso ma disperatamente deformato Lo Strangolatore di Boston, che racconta la storia delle indagini giornalistiche sugli omicidi di 13 donne non sposate, di età compresa tra 19 e 85 anni, avvenuti in un periodo di 18 mesi tra il 1962 e il 1964. Scritto e diretto da Matt Ruskin, il film cerca di mettere in scena diversi archi narrativi, ma finisce per apparire vago e indistinto.
Loretta McLaughlin (Keira Knightley) è una giornalista di moda e costume per il Boston Record American, con l’ambizione di scrivere qualcosa di diverso da una recensione sull’ultimo tostapane. Senza un mentore o un chiaro percorso di avanzamento professionale, si limita a pubblicare passivamente-aggressivamente, su una bacheca della redazione, articoli ritagliati da altri giornali che l’hanno anticipata, insieme ai suoi colleghi.
Loretta McLaughlin è stata la giornalista che per prima collegò gli omicidi e rivelò la storia dello Strangolatore di Boston. Lei e Jean Cole sfidarono il sessismo degli anni ’60 per raccontare le gesta del serial killer più noto della città.
Alla fine, Loretta riesce a convincere il suo caporedattore che gli permette di seguire una serie di omicidi locali irrisolti nel suo tempo libero. Quando scopre alcuni dettagli in comune tra i casi, la natura collegata degli omicidi scatena una frenesia mediatica. Con l’aumentare degli omicidi, Loretta viene affiancata da Jean Cole (Carrie Coon) per ordine del suo caporedattore Jack MacLaine (Chris Cooper). Insieme, il duo identifica una serie di sospetti e personaggi coinvolti, tra cui Albert DeSalvo (David Dastmalchian), Daniel Marsh (Ryan Winkles) e George Nassar (Greg Vrotsos).
Nel corso della storia, Loretta e Jean, entrambe sposate e con figli ma totalmente dedite al lavoro, devono affrontare il sessismo diffuso dell’epoca. Inoltre, incontrano resistenza da parte delle strutture di potere quando il loro lavoro giornalistico rivela come la mancanza di condivisione delle informazioni tra i dipartimenti e la scarsa professionalità delle forze di polizia influiscano sull’andamento e sulla validità dell’indagine.
Nel film “Lo Strangolatore di Boston”, Ruskin cerca di esplorare un caso complesso e articolato e il suo intreccio con le dinamiche sociali dell’epoca.
Dal punto di vista tecnico, il risultato è discreto. Il direttore della fotografia Ben Kutchins offre un lavoro coinvolgente e sia la scenografia che i costumi del film comunicano, attraverso la loro funzionalità e sobrietà, l’oppressione dell’epoca e il conflitto tra i tempi che cambiano.
Ruskin sa anche come trasmettere le informazioni essenziali in modo sintetico. Due scene con il prepotente commissario del dipartimento di polizia di Boston, Ed McNamara (Bill Camp), ci dicono tutto ciò che dobbiamo sapere sulle priorità delle forze dell’ordine, più interessate alla protezione della propria immagine che a risolvere i casi di omicidio.
Tuttavia, a causa della sua intensa attenzione alle lotte giurisdizionali e al giornalismo ambizioso, “Lo strangolatore di Boston” si perde in una trama intricata e in un’atmosfera generale molto confusa. Il vero scopo narrativo del film non emerge mai e i personaggi, così come presentati, offrono solo un’immagine superficiale.
Le morti non suscitano particolari emozioni, poiché non siamo invitati a provare simpatia per le vittime. Questo non sarebbe un problema, se i protagonisti fossero più interessanti. Pur riuscendo a far emergere le pressioni e le esigenze a cui Loretta e Jean sono sottoposte, anche loro appaiono come personaggi schematici. Sono semplicemente un’incarnazione di un certo tipo di donna. Knightley, e soprattutto Coon, fanno del loro meglio, ma sono tradite dallo script composto dagli sceneggiatori.
La relazione più interessante è quella tra Loretta e il detective Conley (Alessandro Nivola), che si incontrano occasionalmente per condividere informazioni sugli omicidi. Con rispetto reciproco, entrambi apprezzano la tenacia e la capacità dell’altro di andare oltre i limiti del proprio ruolo.
Carico di narrazione invece che di azione, il film di Ruskin manca di scene memorabili. Per lunghi tratti procede lentamente, offrendo solo un coinvolgimento superficiale da parte del pubblico. Quando è necessario un colpo di scena, intervengono una telefonata di un poliziotto di New York o un incontro improvviso con un’agente locale loquace di un altro distretto per risollevare la trama.
Pertanto, il film risulta forse più interessante per gli aspetti marginali, per ciò che non è strettamente presente sullo schermo. In un certo senso, questa nuova versione potrebbe fungere da contrappeso in uno studio sociologico affascinante sull’evoluzione dell’intrattenimento legato al vero crimine, se paragonata al film “Lo strangolatore di Boston” del 1968.
Quel film, diretto da Richard Fleischer e interpretato da Tony Curtis (in una performance candidata al Golden Globe), aveva al centro della sua trama il capo detective, John Bottomly (Henry Fonda), che estorceva una controversa confessione a DeSalvo. Amaramente criticato per la sua discutibile impostazione e per la relazione approssimativa con i fatti storici conosciuti, presentava anche un poster con una frase ad effetto (“Perché 13 donne hanno aperto volontariamente le porte all’Assassino di Boston?”) che oggi susciterebbe non poche polemiche online.
La versione del 2023 di questa storia mette al centro le donne che hanno scoperto e raccontato l’evento. Avrebbe potuto e dovuto essere più interessante, invece non offre nuovi spunti di riflessione ma solo una diversa versione confusa di un caso complesso.
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La Recensione
Lo Strangolatore di Boston 2023
In conclusione, "Lo Strangolatore di Boston" avrebbe potuto essere un'opera interessante e stimolante, ma purtroppo non ha saputo cogliere l'occasione. La trama labirintica e la scarsa caratterizzazione dei personaggi rendono il film difficile da apprezzare, lasciando lo spettatore insoddisfatto e desideroso di un approccio più approfondito al caso.
PRO
- Ambientazione storica accurata e convincente, che riesce a catturare l'atmosfera degli anni '60.
CONTRO
- Trama intricata e confusa, che rende difficile seguire il filo narrativo.
- Personaggi poco approfonditi... non riescono a coinvolgere emotivamente lo spettatore.
- Mancanza di scene memorabili o svolte narrative incisive, che lasciano il film privo di momenti di vero impatto.