All’inizio di “Mano de Hierro“, la nuova serie di Netflix proveniente dalla Spagna, alcuni paragrafi introducono lo spettatore alla realtà del Porto di Barcellona, dove ogni giorno arrivano 6.000 container e solo il 2% viene controllato. Questa situazione ha trasformato il porto in uno dei principali punti di ingresso per il traffico di droga, con oltre 30.000 chilogrammi di cocaina che vengono contrabbandati ogni anno. Il personaggio principale della serie gestisce il terminal più importante del porto ed è profondamente coinvolto nel business del traffico di droga. Tra me ho pensato: perché non inventano un lettore in grado di scansionare tutti i container così da bloccare questo traffico? Con la tecnologia attuale mi sembra strano che non ci sia qualcosa di automatizzato.
Tornando alla serie.
Per farti capire che i Manchado non scherzano, ti illustro una scena. Un lavoratore del porto, visibilmente nervoso, si cambia d’abito e nasconde due piccoli blocchi di cocaina nel suo cappotto. Mentre esce sotto la pioggia, viene intercettato dagli uomini al servizio di Joaquín Manchado (Eduard Fernández), che gestisce il terminal principale del porto. Manchado sa che il lavoratore, figlio di uno dei suoi confidenti, gli ha rubato della merce e, dopo che i suoi scagnozzi lo hanno picchiato a sangue e costretto a bere alcolici, gli ricorda, con la sua tipica mano uncinata, che rubare al capo è un peccato imperdonabile, una lezione che avrebbe dovuto imparare dalla storia familiare legata al porto.
Manchado, nella sua routine quotidiana al porto, si assicura che i carichi più importanti in arrivo vengano gestiti senza intoppi. Si preoccupa che suo figlio Ricardo (Enric Auquer), che ha problemi col gioco d’azzardo, sia concentrato per l’arrivo delle spedizioni. Anche sua figlia Rocío (Natalia de Molina) lavora al porto, e suo marito Néstor (Jaime Lorente) ricopre il ruolo di capo della dogana. Manchado si assicura che i lavoratori incaricati del controllo del carico siano professionali e ben retribuiti.
Un problema con una delle gru principali causa un ritardo, e Manchado vuole assicurarsi che sia operativa per quando arriverà la spedizione. Uno degli operatori, Víctor Julve (Chino Darín), gli assicura che può farla funzionare se riescono a riavere il pezzo necessario. Per accelerare il processo, Manchado ricatta un concorrente affinché usi un pezzo della sua gru, minacciandolo con un video compromettente. Ma qualcosa va storto.
La nave che contiene il carico importante è sorvegliata da persone di Manchado, e questa precauzione si rivela utile quando dei pirati tentano di impadronirsene. Scoppia un conflitto a fuoco in mezzo all’oceano, con un elevato numero di vittime.
Si scopre che Victor conosce Néstor e Rocío; è un vecchio amico della coppia, che non vedeva dal loro matrimonio, avvenuto circa un decennio prima. Loro sono felici di rivederlo; anche Victor è contento di incontrare i suoi vecchi amici, ma lavora al porto per un motivo completamente diverso. Victor si consulta con il giudice che lo ha inviato sotto copertura, determinato a porre fine al controllo trentennale dei Manchado sul porto di Barcellona e alla sua vasta operazione di traffico di droga.
Creata e diretta da Lluís Quílez, “Mano de Hierro” è quel tipo di serie che o si ama perché rappresenta un thriller crime che ricorda un po’ Narcos, o si odia per la mancanza di elementi veramente innovativi.
La serie “Mano de Hierro” introduce una novità audace: la figura di Manchado, che domina il porto con il pugno di ferro. Non c’è un’organizzazione criminale vaga e anonima al comando. Da anni, Manchado è immerso in traffici illeciti e, nonostante ciò, è considerato una colonna portante dell’élite imprenditoriale di Barcellona, tanto da ricevere un riconoscimento nel corso del primo episodio. Tuttavia, lo spettatore si rende conto quasi immediatamente del suo lato oscuro, senza che ci siano sorprese o colpi di scena in merito. Chi lavora sotto di lui fa parte della sua rete criminale, e persino le guardie del porto sanno che è meglio non mettersi contro di lui. In sostanza, Manchado rappresenta il male in persona e, almeno inizialmente, non mostra segni di redenzione o complessità morale.
Per quanto riguarda Victor, il suo ingresso sotto copertura nell’organizzazione di Manchado segue i cliché delle missioni segrete. Si pone la questione di quanto possa protrarsi la sua facciata senza essere scoperto, e se le sue vecchie amicizie con Néstor e Rocío, perdute di vista da anni mentre lui intraprendeva la carriera di poliziotto, potrebbero complicare la situazione. La narrazione attorno a Victor non brilla per originalità o profondità, limitandosi a sottolineare la sua conoscenza del mondo interno di Manchado senza offrire ulteriori dettagli sul suo carattere o sulle sue motivazioni.
La scena dello scontro a fuoco sulla nave portacontainer è tecnicamente ben realizzata, ma tende a dilungarsi oltre il necessario. Si intuisce che questo conflitto porterà probabilmente al fallimento della spedizione in questione, dando il via a una guerra tra bande che minaccia il dominio di Manchado. L’elemento più interessante di Mano de Hierro, però, è l’ambientazione scelta: romanzare il funzionamento del porto di Barcellona e trasformare l’infrastruttura in un altro personaggio, l’ho trovata una scelta azzeccata. Oltre agli elementi di thriller e traffico di droga, “Mano de Hierro” esplora anche le dinamiche generazionali, dai rapporti tra genitori e figli a quelli fraterni. La serie solleva un dibattito affascinante sulla difficoltà di Joaquín di considerare suo figlio, e ancor meno sua sorella, come eredi. La narrazione si addentra anche nelle tematiche di genere e sessismo, evidenziando come la figlia, nonostante sia la più competente ed equilibrata della famiglia, non venga mai considerata come possibile successore, riflettendo così le preclusioni del padre nei confronti del ruolo delle donne nella successione.
Tuttavia, c’è una scena che mina la fiducia dello spettatore in questa serie. È quella in cui Joaquin (Eduard Fernández) viene aggredito. Questo momento sembra tratto da un film horror, con un’atmosfera carica di tensione: Joaquin, boss del crimine, vaga da solo nel porto durante la notte, mentre un camion lo insegue sinistramente, quasi fosse un mostro intenzionato a catturare o uccidere un essere umano. L’efficacia di questa sequenza viene però meno quando la telecamera si allontana bruscamente nel momento cruciale in cui Joaquin viene ferito dal contenuto di un container. Confesso che, in quel momento, mi sono preparato a un lungo periodo di noia, temendo che “Mano de Hierro” si rivelasse un’altra serie deludente di Netflix.
Però, a partire dal quarto episodio, ho assistito a una svolta sorprendente e totale nella mia percezione della serie. Man mano che la narrazione progrediva, mi sono trovato sempre più coinvolto nell’atmosfera dello show, cominciando ad apprezzarlo. Persino le immagini, che inizialmente mi sembravano poco convincenti, hanno iniziato a mostrarsi sotto una luce migliore. In “Mano de Hierro”, lo spettatore riceve più informazioni dei personaggi stessi, creando un effetto ironico dato che quasi tutti sono implicati in attività criminali. È esilarante osservare come i personaggi si accusino a vicenda basandosi su malintesi. La loro arroganza e la cieca lealtà li portano spesso a scegliere la violenza invece del dialogo, agendo su impulsi o informazioni frammentarie senza cercare di comprendere la situazione nella sua interezza. Quando Roman (Sergi López) incrocia il camion di Ricardo (Enric Auquer), ad esempio, salta frettolosamente alla conclusione che Ricardo lo abbia tradito. In un altro episodio, un sussurro malizioso porta Roman a un ulteriore errore di giudizio.
E tu hai visto Mano de Hierro? Ti è piaciuta questa prima stagione? Dì la tua nei commenti qui sotto. Io ti lascio al commento finale della mia recensione.
La Recensione
Mano de Hierro
Mano de Hierro non mostra solo la Barcellona di oggi, ma anche quella di decenni fa, grazie ai flashback che servono a indagare sull'origine dei personaggi. Ogni capitolo, infatti, è incentrato su uno di essi e contribuisce a ricomporre il puzzle della complessa famiglia Manchado. Il porto è il protagonista principale della serie. La macchina portuale diventa così quasi un altro personaggio. C'è l'ambizione da parte della serie di essere molto realistica e di ritrarre certe cose quasi con una prospettiva documentaristica per poter mostrare come funzionano determinati processi e da lì collegarsi con una storia di crime e fantasia. Anche se l'ho trovata poco innovativa, gli episodi finali mi hanno fatto cambiare idea. Si sviluppa un intrigante gioco di sfiducia reciproca, rendendo la visione degli episodi un'esperienza avvincente, poiché si cerca di indovinare chi tradirà l'altro. È come risolvere un puzzle costantemente avvolto nell'intrigo, dove le apparenze ingannano e quello che sembra essere in realtà non lo è. Punto dolente: la serie è ambientata a Barcellona ma non si parla il catalano.
PRO
- Una divertente storia crime
- Tanti intrighi e colpi di scena, soprattutto negli episodi finali
- Ogni episodio ti aiuta a conoscere meglio i personaggi principali
- Il porto è forse il vero personaggio principale
CONTRO
- Alcune sparatorie o scene di combattimento sembrano lunghe e, a volte, esagerate
- Gli episodi iniziali sono meno interessanti
- Non si parla il catalano
- Poco di innovativo