Dopo 27 anni dall’omicidio del giovane rapper statunitense Tupac, pochi giorni fa la procura di Las Vegas ha arrestato Duane “Keffe D” Davis, con l’accusa di essere il mandante dell’ assassinio.
La vicenda di Tupac infatti s’inseriva in un contesto di forte rivalità tra due scene del rap statunitense: quella della East coast, cioè di New York e quella della West coast, cioè di Los Angeles. Al centro della contesa c’erano la newyorchese Bad Boy e la losangelina Death Row, le due principali etichette discografiche del rap statunitense a quei tempi.
Tutto è accaduto la notte tra il 7 e l’8 Settembre del 1996 proprio dopo una maxi-rissa tra i Bloods, una celebre gang di Los Angeles e Orlando Anderson un membro dei Crips.
Il 21enne Orlando alcune settimane prima aveva picchiato e derubato insieme a un paio di altri Crips uno dei Bloods. Notandolo nella hall dell’MGM Grand, Tupac lo colpì con un pugno in volto facendolo cadere a terra.
Dopo il violento litigio, Tupac e il resto del gruppo si recarono in un club. Il rapper prese posto in auto accanto a Suge Knight, il produttore discografico statunitense, dell’etichetta discografica Death Row Records.
Alle 23.15 circa, una Cadillac ultimo modello, con a bordo un numero ancora non chiaro di occupanti, arrivò a tutta velocità, si fermò all’incrocio tra la Koval e la Flamingo e sparò 12 o 13 colpi contro Tupac. Il cantante fu raggiunto da quattro di essi, che lo colpirono nella zona del petto, del bacino, della coscia e uno dei proiettili gli trapassò perfino un polmone. Suge invece rimase ferito seriamente da alcuni frammenti di proiettile.
All’arrivo dei soccorsi sia Tupac che Suge vennero trasportati all’ospedale University Medical Center. In ospedale, il rapper subì un repentino peggioramento delle condizioni cliniche e venne presto attaccato a macchine di sostentamento che lo tenevano in vita.
Dopo una serie di interventi chirurgici, tra i quali la rimozione del polmone destro, le sue condizioni si aggravarono improvvisamente il pomeriggio del 13 Settembre 1996 a causa di un’emorragia interna, che nonostante le cure veloci da parte dei medici ebbe la meglio sul cantante appena 25enne.
Omicidio Tupac: la svolta nelle indagini
La svolta nelle indagini sulla morte del rapper è arrivata con l’accusa a Duane “Keefe D” Davis ormai 60enne e identificato come il mandante dell’agguato.
Si vocifera che l’operazione sia stata portata avanti da Greg Kading, un detective della polizia di Los Angeles in pensione che per anni ha indagato sull’omicidio del rapper. Kading ha incluso nelle prove anche un audio-confessione di Duane “Keffe D” Davis, che si auto accusa di essere uno degli occupanti della Cadillac e che specifica che fu proprio Orlando Anderson, che era suo nipote a organizzare l’agguato e a esplodere la raffica che avrebbe ucciso Tupac.
Questa confessione rappresenta probabilmente la prova definitiva del fatto che fu proprio Anderson, nel frattempo deceduto ad assassinare il rapper.
Un elemento importante per la svolta nelle indagini è arrivato dal libro di memorie scritto dallo stesso Davis intitolato “Compton Street Legends” pubblicato nel 2019 nel quale Duane si definiva uno dei “testimoni ancora in vita” della morte del rapper.
Chi era Tupac
Tupac Shakur, il cui nome vero era Lesane Parish Crooks era anche conosciuto come “Makaveli” ed era un rapper statunitense considerato una vera leggenda dell’hip-hop. Era originario di New York ma la sua carriera iniziò artisticamente a Los Angeles.
Per “Rolling Stone” il rapper è all’86esimo posto nella classifica dei cento artisti migliori di sempre e ha lasciato un’impronta indelebile nella musica americana e globale.
Vincitore di diversi American Music Award, MTV Video Music Award e Grammy, nonostante la sua breve carriera (durata solo 7 anni) Tupac Shakur è infatti considerato un’icona del rap americano.
Ha pubblicato 24 album pubblicati, di cui 12 in studio e sette postumi, due live e due raccolte e oltre 75 milioni di dischi venduti in tutto il mondo.
“Makaveli” non è stato solo un artista amato e apprezzato, ma anche un attivista politico di prim’ordine. Attraverso la sua musica, infatti sosteneva i diritti delle persone di colore e denunciava le ingiustizie sociali, battendosi anche su temi come la violenza delle gang, il razzismo, la povertà e la crudeltà della polizia. Infine, oltre a promuovere la centralità dell’istruzione e sottolineare l’importanza di seguire le proprie aspirazioni, ha fondato il gruppo “Thug Life” a sostegno delle comunità svantaggiate.
Le parole della famiglia di Tupac
Il fratello maggiore di Tupac appresa la notizia dell’accusa rivolta a Davis ha commentato:
“Mi sto preparando, perché non è finita. Il tempismo è molto curioso e sono rimasto un po’ sorpreso perché questo sarebbe dovuto accadere molto tempo fa. Per tutto questo tempo Davis cera in macchina quando suo nipote ha sparato a mio fratello.”
Anche la sorella di Tupac, Sekyiwa presidente della fondazione del rapper, ha scritto sui social media:
“Questo è senza dubbio un momento cruciale. Il silenzio degli ultimi 27 anni è stato molto rumoroso nella nostra comunità, per me è importante che il mondo, il Paese, il sistema giudiziario e il nostro popolo riconoscano la gravità della scomparsa di quest’uomo, mio fratello, il figlio di mia madre, il figlio di mio padre. La sua vita e la sua morte sono importanti e non dovrebbero rimanere irrisolte o non riconosciute, quindi sì, oggi è una vittoria, ma mi riserverò il giudizio fino a quando tutti i fatti e i procedimenti legali non saranno completati”.
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