ORCHIDEE,
uno spettacolo di Pippo Delbono
Quando sono andata a vedere Orchidee lo scorso 14 Marzo, non sapevo cosa aspettarmi. O meglio, sapevo che mi sarei dovuta aspettare di tutto.
Dal vociferare confuso che mi capitava di sentire a riguardo avevo capito solo che la provocazione era la vera protagonista dello spettacolo. Perciò, entrata a teatro, avevo con me non pochi pregiudizi. La loro smentita non si è fatta attendere: nonostante la trasgressione con le sue mille facce sia effettivamente presente, non c’è volgarità in Orchidee.
C’è il tentativo di fuggire da un Teatro che, Delbono confessa, “spesso sento un luogo diventato troppo polveroso, finto, morto”, una “menzogna accettata”. Sarà solo più avanti che, invece, “le parole importanti del teatro che volevo abbandonare mi sono ritronate addosso e hanno ritrovato un loro senso nuovo, incastrate con la mia vita”.
Allontanati e poi riavvicinati, i testi teatrali sono diventati dei compagni di viaggio. Uscendo dalla mera letteratura si sono fatti vita, emergendo nell’innocente nudità di ognuno di noi e nelle urla strazianti di fronte ad un mondo crudele, come cantano i Deep Purple in Child in time.
Inoltre, la radicale messa in discussione della convenzione (e convinzione) teatrale secondo cui a noi osservatori spettano silenziose poltrone vellutate senza via d’uscita: dopo poco tempo dall’inizio, mentre sul palco è portata in scena un’aria tratta dall’opera Nerone di Pietro Mascagni, un maggiordomo si insinua tra le file di sedie e ci offre dei pasticcini. A noi la scelta, non molto libera: sporgerci e afferrare un dolcetto oppure fingere indifferenza e rimanere nell’ombra?
Così accade ancora quando un ragazzo frettoloso corre tra gli spettatori lanciando insuli e dritte provocazioni alla società con tutti i suoi componenti. Di nuovo ci troviamo catapultati in una situazione paradossale: accusati, rimaniamo seduti ai nostri posti, chiedendoci se anche questo faccia partedella “convenzione teatrale”.
L’insistente interazione degli attori (qui non nel senso di interpreti, bensì di “coloro che agiscono”) con noi, spettatori al massimo grado, rivela l’intento di riesumare i vivi.
Sì perchè, come afferma la voce fuoricampo dal tono profetico, i vivi sono già morti.
Con questo mio intervento non voglio esprimere un giudizio su Orchidee, uno spettacolo troppo complesso e ampio per accomodarsi dentro un restrittivo “mi è piaciuto/non mi è piaciuto”; la mia intenzione è invece di destare curiosità verso maniere anticonvenzionali di fare Teatro soprattutto in Italia, dove per tradizione secolare siamo abituati a guardare passivamente ciò che accade in scena.
Gusti personali a parte, alcune esperienze alternative davvero smuovono in noi qualcosa.
Sara Crimella
La rappresentazione ha visto la presenza della Compagnia di Pippo Delbono, composta da Olly Albertin, Gianluca Ballarè, Bobò, Pippo Delbono, Ilaria Distante, Simone Goggiano, Mario Intruglio, Nelson Lariccia, Julia Morawietz, Gianni Parenti, Pepe Robledo, Grazia Spinella
musiche di Enzo Avitabile
Per ulteriori impressioni sulla rappresentazione rimando agli articoli “Vi racconto la mia vita tra le orchidee“ (Repubblica Spettacoli) e “La dittatura delle emozioni“ (Teatroecritica)
La rappresentazione ha avuto luogo al Teatro Sociale di Como il 14 Marzo 2015, è stato al Piccolo Teatro di Milano dall’8 al 17 ottobre 2013
Pippo Delbono sarà il direttore artistico del Festival Asti Teatro per il biennio 2015/2016
La Recensione
Orchidee
Con questo mio intervento non voglio esprimere un giudizio su Orchidee, uno spettacolo troppo complesso e ampio per accomodarsi dentro un restrittivo "mi è piaciuto/non mi è piaciuto"; la mia intenzione è invece di destare curiosità verso maniere anticonvenzionali di fare Teatro soprattutto in Italia, dove per tradizione secolare siamo abituati a guardare passivamente ciò che accade in scena.