Continuano i nostri consigli in tempi di quarantena: se non siete troppo impressionabili, “Containment” fa al caso vostro
Ai tempi del Corona Virus, cosa potrebbe essere meglio che guardare una serie TV che ci faccia compagnia mostrandoci le conseguenze catastrofiche dello scoppio di un virus estremamente pericoloso e fatale. Per alcuni potrebbe essere un controsenso guardare una serie TV con questi temi, quasi masochista; al contempo però potrebbe dimostrarci i più tipici comportamenti della società, facendoci vedere al contempo come non bisognerebbe mai comportarsi in tempi di quarantena. Per questo oggi il nostro consiglio è, se non lo avete ancora fatto, di guardare la serie CW “Containment“.
“Containment” è una serie televisiva statunitense basata sulla serie televisiva belga “Cordon“, creata da Carl Joos. Trasmessa dal canale CW dal 19 aprile al 19 luglio 2016 negli Stati Uniti (e dal 15 settembre al 20 ottobre 2016 in Italia, su Mediaset Premium), la serie segue un’epidemia scoppiata ad Atlanta: la città viene divisa da un cordone, dove una parte della città rimane in quarantena e le persone sono costrette a lottare per sopravvivere. Il remake americano è stato scritto da niente poco di meno di Julie Plec, già autrice di “The Vampire Diaries”, “The Originals” e il più recente “Legacies“, spin-off dei primi due prodotti.
La serie fu cancellata dopo pochi episodi mandati in onda nello stupore generale, visto gli ascolti discreti: tuttavia, era stata concepita come una miniserie incentrata su una storia auto conclusiva, quindi in realtà non erano mai state previste ulteriori stagioni.
La storia si concentra su temi più disparati, con la speranza, il rispetto e l’aiuto reciproco che fungono da totali padroni. “Containment” ha infatti la capacità di insegnare molto su un momento come quello che stiamo vivendo oggi: anche nei momenti più disperati, è importante allungare una mano verso il prossimo e abbandonare i pregiudizi.
“Containment”: la trama
Come abbiamo potuto vedere anche nella realtà, un’epidemia parte nel modo più silenzioso che qualcuno potrebbe mai aspettarsi. I virus sono nemici invisibili che si insinuano nelle persone in maniera cauta, solo in un secondo momento scatenando il panico. E’ proprio così che comincia la trama del nostro Containment, seguendo la vita apparentemente semplice di una serie di personaggi che non hanno la minima idea di ciò a cui stanno andando incontro.
C’è Katie, ad esempio – interpretata da Kristen Gutoskie – un’insegnante che sta portando la sua classe di giovani alunni (tra i quali è presente anche suo figlio) a fare una gita in uno dei principali ospedali della città di Atlanta (che, vi lascio immaginare, sarà quello che poi ospiterà il famigerato paziente 0 dell’epidemia). Ci sono anche Jana (Christina Moses) e il maggiore Lex (David Gyasi), coppia di fidanzati che è pronta per il grande passo e vivere insieme, anche se lei non si senta ancora pronta al cento per cento. C’è Jake (Chris Wood, cioè uno dei principali motivi per cui vorrete vedere questa serie), il partner di Lex al lavoro, un giovane poliziotto ambizioso e affascinante. Poi c’è una giovane adolescente incinta, Teresa (Hanna Mangan-Lawrence) e anche un blogger non del tutto pulito, Leo (Trevor St. John). Una rosa di personaggi interessanti, certo, ma che rappresentano niente poco di meno che persone normali. Persone che potrebbero essere rappresentare ognuno di noi, con i propri sogni, i propri doveri e le proprie ambizioni.
Non passa molto tempo dall’inizio del primo episodio che si capisce che c’è qualcosa non va: d’altronde, una regola universale dei film che parlano di virus è quella di dare un enorme peso a una cosa semplicissima, tossire. Se in più a questa cosa semplicissima si aggiunge sangue e morte, si può star certi di trovarsi di fronte ad una apocalisse.
“Containment“, da come però fa intuire il titolo stesso, non vuole necessariamente parlare del Virus e delle sue dirette conseguenze, ma vuole essere una storia alla “fermatelo, prima che sia troppo tardi“. Una storia di contenimento, in cui tutte le autorità sono chiamate a fare la loro parte e prendere decisioni importanti, prima che inevitabilmente il virus cominci a espandersi pericolosamente.
Vi ricorda qualcosa?
Ma il virus con cui si ha a che fare è davvero terrificante. Parte da una semplice tosse che finisce per logorare e uccidere. Possono fare molto poco i medici, che in questa serie assumono un ruolo quasi sinistro, come il dottor Cannerts (interpretato da George Young) che a tratti sembra quasi patetico di fronte a un mostro come il virus per cui cercherà a tutti i costi la cura. Ma di nuovo, non viene comunque data molta importanza all’aspetto medico: d’altronde la serie si chiama “Containment” per una ragione ben precisa.
Qui entra in gioco infatti uno dei personaggi più enigmatici di tutta la serie: Sabine Lommers (con il volto di Claudia Black), a capo del dipartimento della salute e dei servizi umani degli Stati Uniti. Un pezzo grosso, per capirci, che non ci mette molto a prendere una decisione drastica ma indispensabile: mettere in quarantena l’epicentro della città di Atlanta colpito dal virus. E lo fa senza troppi preamboli, da un momento all’altro e bloccando completamente le comunicazioni, di fatto impedendo alle persone di muoversi da una parte all’altra della città innalzando una barriera di contenimento. Della serie caro Conte spostati, che me fai ombra.
Questo diventa però un bel problema per Katie, Jake, Teresa e Jana, che di fatto rimangono nella parte della città isolata. Tra corse contro il tempo e imprevedibili complotti, spetterà proprio alle “persone normali” cercare di combattere un virus che assume quasi il ruolo di un vero e proprio mostro che sembra imbattibile.
La serie poi non cerca una cura per la crisi, nè ha tanta fretta di risolverla. Parla dell’isolamento, di quei momenti che durante la quarantena inevitabilmente si perdono ma che nella vita di tutti i giorni si danno per scontati. Come quando Katie e Jake si incontrano e per uno strano scherzo del destino e non possono stringersi la mano, o di fatto toccarsi, ma finiscono per innamorarsi anche se costretti costantemente a rimanere distanti.
Perchè guardarlo
“Containment” è una serie – una bella serie, per quanto abbia i suoi difetti – che vi farà rivalutare molte piccole cose. Darete importanza ai dettagli affezionandovi ai personaggi e faticando a lasciarli andare, per quanto si percepisca fin da subito che la serie sia auto-conclusiva. Un po’ come il famosissimo “The Walking Dead” e il suo prequel “Fear the Walking Dead“, la mini-serie firmata Julie Plec riesce ad essere (a tratti) paurosa e scabrosa, forse prendendoci fin troppo la mano in certi momenti, soprattutto all’inizio, quando si ha la sensazione che il pilot corra come non mai per trascinarci subito nella sensazione di panico che stanno vivendo i protagonisti. Si tratta, pur sempre, di una serie TV: si passa dal tutto al niente, dalla quiete alla tempesta forse in fin troppo poco, senza il tempo materiale di rendersi conto che un semplice colpo di tosse sta già causando quella che ha tutta l’aria di essere un’apocalisse.
Sicuramente si distingue un Chris Wood – estremamente giovane – davvero bravo, forse quello che sembra essere più a suo agio in questa serie dove, allora, assunse un ruolo completamente diverso da quello che era stato chiamato a interpretare dalla stessa Plec in “The Vampire Diaries”: non c’è traccia dello psicopatico villain Kai Parker, che si trasforma in questa miniserie in un poliziotto dolce ed attento, il personaggio che più di tutti incarna perfettamente i valori di questa serie.
Pronti con guanti e mascherine per guardare questa serie che tanto bene si rispecchia nella situazione che stiamo vivendo? Fatemi sapere nei commenti!