Era il 15 luglio 1989 e i Pink Floyd, orfani di Roger Waters, si esibirono nello storico concerto tenutosi a Venezia su una suggestiva piattaforma galleggiante. Gli organizzatori scelsero di chiamare l’evento “Pink Floyd a Venezia: Un Concerto per l’Europa”, e fu la penultima esibizione della band inglese durante la seconda tournée europea del “A Momentary Lapse of Reason Tour”.
L’evento è annoverato tra i più menzionati ed esclusivi concerti rock mai tenutisi in Italia, anche perché si tenne gratuitamente, e scaturì pro e contro da parte del Comune di Venezia e dei veneziani. I Pink Floyd vollero organizzare la loro esibizione in una location suggestiva in occasione della tradizionale festa del Redentore e alla presenza di circa 200.000 spettatori posizionati sulle rive e sulle imbarcazioni del bacino di San Marco.
Il concerto venne trasmesso dalla Rai in mondovisione con un pubblico di circa 100 milioni di telespettatori. La Rai, inoltre, finanziò il costo dell’evento per un miliardo di lire, e il resto delle spese (alcune centinaia di milioni di lire) furono coperte dai Pink Floyd stessi. Dei 100 milioni di spettatori, 27 milioni si collegarono dagli Stati Uniti (dove l’evento fu trasmesso via cavo al prezzo di dieci dollari). In Italia il concerto fu visto da circa 3,5 milioni di spettatori, con un indice d’ascolto del 30%. Per motivi tecnici, dovuti alle esigenze televisive della diretta, alla disponibilità dei satelliti per la mondovisione e alla pubblicità, il concerto fu limitato a soli novanta minuti, con alcune canzoni tagliate o eliminate del tutto rispetto alla scaletta originale.
La nota band inglese in quel periodo era alle prese con i concerti organizzati in Italia, con tappe all’Arena di Verona, a Monza, a Livorno e a Cava dei Tirreni, e per l’occasione l’impresario veneziano Francesco Tomasi, che solo l’anno prima aveva allestito lo “Human Rights Now” con Peter Gabriel, Sting e Bruce Springsteen, propose ai Pink Floyd di chiudere il loro passaggio in Italia con un concerto gratuito nella sua città per la festa del Redentore.
Inizialmente si pensò di allestire il palco, alto ventiquattro metri, sulla punta estrema dell’isola della Giudecca, ma poi per motivi di spazio fu deciso di impiegare alcune grandi zattere ormeggiate al centro del bacino di San Marco, di fronte al Palazzo Ducale. La notizia dell’evento, circolata all’inizio di aprile, scatenò nei tre mesi successivi polemiche accese, riguardanti il decoro della città e il timore che l’eccessivo volume della musica potesse danneggiare il patrimonio artistico della stessa.
Per tale motivo la soprintendenza ai beni culturali pose un limite di sessanta decibel e vietò l’installazione dei bagni chimici temporanei per motivi estetici. Le polemiche coinvolsero anche la politica locale: da un lato, vi erano i sostenitori dell’iniziativa come il vicepresidente del consiglio Gianni De Michelis (che voleva candidare Venezia quale sede per l’Expo 2000) e l’assessore alla cultura del Comune di Venezia, Nereo Laroni, e da un altro i contrari come esponenti della Democrazia Cristiana. L’amministrazione comunale rimase a lungo indecisa sulla fattibilità dell’evento, ma alla fine il vicesindaco Cesare De Piccoli firmò l’ordinanza che autorizzava il concerto.
I Pink Floyd nei loro tour avevano sempre cercato di fare concerti in luoghi prestigiosi, in modo da includere nella loro esibizione una scenografia degna dalla loro musica. Celebri furono le gesta in Italia a Pompei nel 1971 e a Cinecittà nel 1994. Perciò Venezia, sembrava la location perfetta per una nuova esibizione fascinosa, anche se la band inglese non fu di certo l’unica ad esibirsi sulla laguna veneziana: la tradizione ebbe origine già a partire dal 1700; i vari musicisti che si esibivano in città allietavano cittadini e forestieri al suono degli strumenti dell’epoca, montati su piccole zattere in mare.
Ma naturalmente si è dovuto aver a che fare con i vari problemi tecnici: si trattava innanzitutto di bloccare il traffico delle navi, di valutare le correnti, mettere in sicurezza un impianto elettrico a contatto con l’acqua, e rendere stabile il palco e il mixer che era collegato con cavi sottomarini a una profondità di 35 metri. L’eccellente lavoro fu svolto da due ingegneri scozzesi, e consistette nell’ancorare al fondo sabbioso le zattere, con tutto il carico di schermi rotondi, bracci meccanici, droni per gli effetti luminosi, amplicatori sospesi, e monitor.
L’organizzatore Tomasi ricordava:
«Non è stato facile trovare le zattere. Ne servivano due, e quella grande per il palco doveva misurare 50 metri per 30».
Oltre alle problematiche logistiche, nei giorni precedenti al concerto, si opposero anche alcuni esponenti locali, i quali si espressero pesantemente contro l’esibizione dei Pink Floyd. Molti la spacciarono falsamente per una band heavy metal, proprio per enfatizzare il “fastidio” acustico che avrebbero potuto provocare. In città iniziarono a comparire sui muri scritte a favore dell’esibizione della band tese a contrastare le malelingue, e subito partirono accuse dall’altra parte di incoraggiare il vandalismo, lo spaccio d’eroina e anche un tentativo di svaligiare la Basilica.
Trovato perlomeno il compromesso di abbassare il volume, i vari disguidi culminarono la notte del concerto, quando l’allora presidente dell’AMIU di Venezia, decise di non far raccogliere per una notte intera i rifiuti prodotti del numerosissimo pubblico, proprio per aumentare le polemiche. Il Gazzettino, la mattina dopo, scriveva “Mai più così”.
Il giorno dopo il chitarrista David Gilmour e compagni dovettero fuggire dall’hotel Lido, dove la band alloggiava, perchè nel frattempo era diventato una bolgia di giornalisti, fan e provocatori. Nonostante le difficoltà e le polemiche, il concerto fu un successo irripetibile, e mise in secondo piano le tappe precedenti dei Pink Floyd in Italia e all’estero, compresa l’esibizione nella prestigiosa cornice del festival di Knebworth, da cui provengono le registrazioni per l’album live “Delicate Sound of Thunder”. Il concerto dei Pink Floyd a Venezia resterà sicuramente nei ricordi di chi ha avuto la fortuna di parteciparvi, ma anche di chi oggi ammira le notevoli capacità di sperimentazione, non solo musicali, della band progressive più celebre al mondo.