Uno degli aspetti più apprezzati delle serie tv è senza dubbio la loro capacità di affrontare dettagliatamente la storia che raccontano. La struttura a puntate e stagioni, infatti, permette una narrazione molto meno sacrificata rispetto a quanto possibile entro i limiti di durata imposti ai film destinati al passaggio sul grande schermo, oltre al fatto di consentire di monitorare costantemente il grado di apprezzamento dello show e, in maniera più o meno incisiva, intervenire in corso d’opera sul futuro dello stesso.
Tuttavia, come in ogni questione, anche la serialità ha il suo lato problematico: la distanza temporale che separa i vari momenti della narrazione, in questo caso puntate e stagioni. Le puntate di una serie tv sono infatti normalmente rilasciate a cadenza settimanale, e fra una stagione e l’altra passa un anno, nei casi migliori, ma spesso ben più tempo. Molte serie, di conseguenza, dopo un’iniziale esplosione di consensi vengono spesso abbandonate dagli entusiasmi degli spettatori, talvolta per il solo motivo di essere troppo diluite nel tempo. Recuperare una serie già conclusa, o con già numerose stagioni alle spalle, nella sua interezza, permette viceversa di apprezzare più da vicino il progetto globale dell’opera, permettendone una sua valutazione più oggettiva e comunque slegata dal peso degli inevitabili tempi di attesa.
Un ottimo esempio può venire da Vikings, serie che al suo esordio nel 2013 aveva destato molta curiosità per tematiche e ambientazioni. Composta da sei stagioni, essendo ormai sfumate le speranze di vederne una settima, la singolare scelta di dividere a metà le ultime tre ha creato non pochi problemi per chi desiderava seguire le gesta dei protagonisti. Rivista tutta di seguito, tuttavia, la narrazione riesce a non discostarsi troppo dalle premesse gettate nel 2013, con punti di forza costituiti dalla particolare commistione di fatti e personaggi storici insieme a personaggi semileggendari, come lo stesso protagonista e i suoi figli.
Storia un po’ diversa invece per uno dei prodotti più interessanti degli ultimi anni: Peaky Blinders. Qui infatti non si tratta di un problema di calo dell’entusiasmo generale, tutt’altro: le vicende della banda di Birmingham, ispirata all’omonima banda storica, hanno riscosso un successo di pubblico pressoché costante. Il successo della serie d’altra parte era già a tal punto evidente da far nascere addirittura una slot machine a tema, che è andata ad aggiungersi al numero in continua espansione di quelle disponibili online. Il problema è piuttosto che ognuna delle cinque stagioni è composta da soli sei episodi, e che dopo il rilascio a cadenza annuale delle prime quattro stagioni, a partire dal 2013, si sono avuti due anni fra la quarta e la quinta, e fra la quinta e la preannunciata sesta ne sono già passati altrettanti, anche a causa della difficile situazione recentemente affrontata dal comparto. In questo caso, quindi, un rewatch probabilmente non farà altro che confermare il valore della serie, ma è indubbiamente utile per ricordare svolte e avvenimenti che risalgono ormai a diverso tempo fa.
Altra serie del 2013 e conclusa nel 2018, per sei stagioni succedutesi con cadenza annuale, è The Americans. La storia di due agenti segreti sovietici sotto copertura a Washington in piena Guerra Fredda aveva creato delle aspettative altissime, decisamente rispettate nel corso delle prime stagioni. In questo caso, probabilmente, sono stati proprio i tempi morti fra puntate e stagioni a determinare il raffreddamento degli entusiasmi intorno allo show, con colpi di scena che risultavano prevedibili e spesso mal inseriti nella struttura della serie. Un rewatch è invece in grado di rendere molto più apprezzabile il percorso di evoluzione di alcuni personaggi, e soprattutto la cura che è stata dedicata alla ricostruzione delle contraddizioni e delle estetiche legate a uno dei periodi storici più emblematici della storia moderna.
Infine, aggiungendo all’elenco una serie molto più recente, merita sicuramente una menzione particolare Watchmen, miniserie trasmessa nel 2019. Sebbene composta da una sola stagione, la cadenza settimanale delle sue 9 puntate ha dato man forte agli scetticismi iniziali di chi non vedeva di buon occhio un sequel dell’omonima graphic novel, con una trama che si dipanava in maniera spesso complessa. Se viste di seguito, tuttavia, ci si rende ben presto conto di come le singole puntate creino una trama che si colloca in realtà nel pieno rispetto dell’opera dalla quale discende, apportando aggiunte estremamente coerenti e apprezzate: non è sicuramente un caso che sia stata una delle serie che più si è distinta all’ultima edizione dei Premi Emmy.