L’amore al tempo di Facebook?
Se pensate che sia fatto solo di cuori e reazioni adorabili, aspettate di vedere Sweet Bobby – Il mio incubo.
Questa storia di catfishing è davvero un percorso folle, pieno di bugie e inganni che lasciano a bocca aperta.
Ma soprattutto ti chiedi: come diavolo è successo tutto questo? Se sei come me, adori le storie di truffe assurde, e Sweet Bobby non delude in quanto a follia e stranezza. Scopriamo insieme i dettagli di questa storia che è tutto tranne che romantica.
Kirat Assi e Bobby: una relazione (solo) virtuale
Nel 2011, Kirat Assi, una presentatrice radiofonica, stava vivendo una notte speciale a Brighton. Lì, tra la folla di una pista da ballo, scorge una faccia familiare. Era Bobby, il medico con cui si scambiava messaggi su Facebook da un po’. I due non si erano mai incontrati di persona, e quando Kirat si fa avanti per salutarlo… sorpresa! Bobby sembra non avere la minima idea di chi lei sia. Eh, già. Guardando il documentario Sweet Bobby, basato sull’ottimo podcast di Tortoise Media, ti viene solo da urlare a Kirat di cancellare tutto e andarsene. Ma purtroppo, quello era solo l’inizio.
La storia va avanti, i messaggi continuano, e Kirat e Bobby diventano sempre più intimi. Non è un’infatuazione qualunque: Bobby sviluppa misteriose condizioni di salute, entra persino in un programma di protezione testimoni a New York dopo un presunto scontro a fuoco in Kenya. Se questo suona surreale, aspettate, c’è di più! I due cominciano a farsi lunghe chiamate Skype notturne per sentirsi vicini, addirittura discutono di matrimonio. E poi Bobby introduce Kirat al suo giro di amici e familiari su Facebook. Tutto questo è ricostruito nel documentario attraverso interviste, vecchi messaggi vocali e simulazioni delle loro chat.
Un inganno su scala incredibile
E ora arriviamo alla verità. Bobby non era affatto chi diceva di essere. Il documentario segue la storia di questo catfishing che è straordinario non solo per la sua scala, ma anche per il colpo di scena finale sull’identità del truffatore (non vi spoilero nulla, perché è davvero un momento da “WTF!”). Tuttavia, Sweet Bobby – Il mio incubo non riesce a mantenere l’approfondimento quasi forense del podcast originale e soffre di un ritmo un po’ irregolare, accelerando verso la confessione senza prendersi il tempo di sviscerare ogni intricata assurdità del caso.
Kirat: una vittima vivace e distrutta
La narrazione del documentario si sviluppa dal punto di vista di Kirat, che appare come una presenza calda e vivace. È devastante vedere come questa “relazione” abbia distrutto la sua autostima, mentre Bobby diventa sempre più controllante e la bombarda di messaggi accusatori. Sentiamo anche la testimonianza del vero Bobby, l’uomo le cui foto e dettagli di vita sono stati usati per costruire l’inganno. Inoltre, c’è anche il coinvolgimento della famiglia di Kirat, che sottolinea quanto questa relazione online abbia influenzato la sua vita reale. Sua zia dice: “È stato un totale controllo della sua vita”, e puoi sentire il dolore nelle sue parole. È particolarmente doloroso sentire Kirat parlare dei suoi sogni di avere figli con questo fantasma digitale.
Il documentario fa un buon lavoro nel mettere in luce i segnali d’allarme che, con il senno di poi, sono ovvi. Ma lo fa senza mai cadere nel victim-blaming, trattando la testimonianza di Kirat con empatia e delicatezza. Insomma, non ci fa mai dire “Oh, quanto è stata ingenua”, ma piuttosto “Come è possibile che qualcuno abbia fatto una cosa così crudele?”
Un racconto che a tratti si perde in immagini ripetitive
Per quanto la storia sia avvincente, c’è un problema: i racconti online come questo non sempre si traducono bene in un documentario visivo. Le immagini stile Facebook, le schermate e il footage generico possono sembrare un po’ monotoni. E quando arriva il grande colpo di scena, il film sembra quasi finire di botto, senza prendere il tempo di esplorare le implicazioni di ciò che è accaduto. Kirat ha appena avuto il tempo di chiedersi, con il cuore spezzato: “Con chi diavolo sono stata al telefono negli ultimi tre anni?”, che già compaiono i titoli di coda. Sarebbe stato interessante vedere di più sul suo processo di guarigione, o almeno un momento in cui lei riesce a ritrovare un po’ di pace.
Un documentario ben fatto, ma manca qualcosa
Nel complesso, Sweet Bobby – Il mio incubo è una buona introduzione a una storia davvero scioccante, ma in certi punti sembra più un trailer di un’ora e mezza per un podcast molto più dettagliato e coinvolgente. La storia c’è, il dramma c’è, ma manca quel qualcosa che ti fa restare con il fiato sospeso fino alla fine.
Il podcast, infatti, è ricco di quei dettagli intricati che rendono la storia ancora più incredibile. Dettagli che qui, nel documentario, sono stati sacrificati in nome della sintesi. E capisco, non tutti amano approfondire ogni singola sfaccettatura di un inganno del genere. Ma per chi, come me, vuole sapere ogni minuscola assurdità, il documentario lascia un po’ di amaro in bocca.
L’impatto emotivo: tra incredulità e compassione
Non fraintendetemi, ho provato un’enorme compassione per Kirat. La sua storia è raccontata con una tale apertura e vulnerabilità che è impossibile non provare empatia. Sentirla parlare dei suoi sogni infranti, delle notti passate al telefono con un’illusione, è doloroso. E anche se non possiamo che scuotere la testa di fronte a certi dettagli, la realtà è che tutti possiamo essere vulnerabili all’inganno, soprattutto quando siamo spinti dall’amore e dalla fiducia.
Ma, purtroppo, questo documentario non riesce sempre a tenere il passo emotivo che ci si aspetta da una storia del genere. Sembra quasi che ci sia stato un tentativo di accelerare i momenti più intensi, senza dare il giusto spazio alla riflessione. Come spettatore, ho sentito la mancanza di un momento di catarsi, di una risoluzione emotiva che facesse giustizia al dolore vissuto da Kirat.
Conclusione: vale la pena vedere Sweet Bobby – Il mio incubo?
Lo consiglio? Assolutamente sì, ma con una nota. Se avete già ascoltato il podcast, non aspettatevi nulla di nuovo. Se non conoscete la storia, invece, preparatevi a restare con la bocca aperta. Questo documentario è una finestra su quanto possano essere contorte le relazioni online, e su come la fiducia possa essere manipolata in modo devastante. Ma, allo stesso tempo, è anche un monito su quanto sia importante non perdere mai del tutto la propria capacità critica, anche nelle relazioni più intime.
E ora, a voi: avete visto Sweet Bobby – Il mio incubo? Cosa ne pensate di questa storia surreale e delle scelte fatte nel documentario? Raccontatecelo nei commenti, sono curioso di sentire la vostra opinione!
La Recensione
Sweet Bobby - Il mio incubo
Docufilm coinvolgente ma non perfetto. Grande empatia e incredulità, ma manca di profondità e ritmo serrato per tenerci agganciati fino alla fine.
PRO
- Storia scioccante e raccontata con empatia
- Grande riflessione sulle relazioni online
CONTRO
- Mancano i dettagli intricati e il giusto ritmo emotivo per rendere il racconto davvero completo