[gap height=”12″]
La Recensione di The Danish Girl…
Dal genio del regista di “Les misérables” e “Il discorso del re” nasce un altro capolavoro inspirato a una storia vera. Ritrovarsi nel corpo sbagliato: così può riassumersi in maniera concisa la sensazionale trama dell’ultimo film di Tom Hopper, The Danish Girl. Un mix di forti sensazioni avvolge i protagonisti di questa pungente e scabrosa storia, sensazioni incapaci di lasciare impassibile lo spettatore. Non a caso il film del regista londinese non è passato inosservato alla giuria del prestigioso e antico riconoscimento cinematografico, il premio Oscar.
Ad afferrare l’ambita statuetta d’oro in qualità di miglior attrice non protagonista è stata l’affascinante attrice svedese Alicia Vikander, già nota al pubblico cinefilo per i suoi ruoli ricoperti in Anna Karenina e Royal Affair. “Grazie Eddie [Redmayne], sei stato il miglior partner, senza di te non ce l’avrei mai fatta”: così Alicia ha commentato l’onorevole riconoscenza durante la cerimonia di premiazione. Effettivamente, se in quest’anno 2016 l’Oscar come miglior attore protagonista non fosse stato assegnato (meritatamente e anche un po’ in ritardo) all’instancabile Leonardo Di Caprio, con molta probabilità il fortunato attore sarebbe stato proprio Eddie Redmayne. Il giovane artista e modello britannico, aiutato indubbiamente dai suoi tratti somatici dolci e quasi femminili, si è calato con corpo e anima nella spinosa parte di una persona che si sente imprigionata nel proprio corpo, in un sesso che non gli appartiene, uno spirito femminile nella “custodia” sbagliata. La lotta contro una innata femminilità, l’utopico desiderio di cambiare genere sessuale in un’epoca in cui questo auspicio veniva considerato alla stregua di una malattia mentale grave ma curabile, acquista maggiore fascino quando lo spettatore scopre – a fine film – l’ispirazione ad una storia reale.
Già lo scrittore David Eberschoff aveva pubblicato nel 2000 l’omonimo romanzo che narra la storia (ambientata agli inizi del XX secolo) di Lilli Elbe, uno dei primi coraggiosi uomini a combattere per la sua identità e a sottoporsi a ben cinque dolorose operazioni chirurgiche di riassegnazione sessuale. L’amore eterno, tenace e risoluto della moglie di Einar, Gerda, spiazza completamente le aspettative del pubblico e nel far trapelare questo indissolubile sentimento, questo amore per la persona in sé, un amore che va al di là delle etichette sessuali, Alicia Vikander è stata senza dubbio un’ammirevole esperta. Parimenti, Eddie Redmayne non solo ha saputo calarsi ampiamente nella parte del pittore paesaggista di modesta fama in costante devozione e supporto nei confronti della moglie Gerda, ma ha anche saputo egregiamente interpretare la dicotomia tra frustrazione e invincibile desiderio di seguire la propria natura e liberarsi di un corpo in cui non si identifica, a costo di rischiare la vita. Incornicia la vicenda già di per sé affascinante una scenografia e una fotografia elegante e maestosa. Insomma, una tematica ed una tecnica ammirevoli, un film emozionante e scorrevole a cui – a mio parere – è difficile imputare imperfezioni o difetti. Unico appunto: ci si sarebbe potuti soffermare in maniera più approfondita, anche a costo di allungare i tempi della pellicola, sulla frustrata confusione e mortificazione che Einar attraversa nell’acquisire la consapevolezza della sua identità.
[review]