Sanremo 2007.
Un uomo da solo, in mezzo al palco avvolto dalla tenue penombra e con gli occhi di tutta Italia puntati su di sé, con accanto una sedia gialla di plastica, di quelle classiche da pic nic, senza urla e senza imprecazioni, racconta una storia.
Una storia diversa dalle solite banali d’amore, che sì, sono intense e sempiterne, magari, ma sanno di vecchio, di già sentito.
Una storia sui matti, invece, la sua, i quali no, non sono per forza felici, come talvolta si pensa, questi individui che vivono in un mondo proprio, e chi dice che sia necessariamente un mondo bello e giusto? Di sicuro, comunque, un mondo non bello e non giusto era quello fisico e reale dei manicomi in cui si trovavano a vivere ogni giorno, loro, “punti di domanda senza frase“, traditi non solo da un vecchio amore, come l’Antonio di Cristicchi, ma anche, e troppo spesso, da coloro che avevano assunto il compito di prendersene cura.
Cristicchi dunque non solo narra una storia drammatica, ma anche pone quesiti e riflessioni su argomenti ai quali noi “normali” spesso non pensiamo, e di cui ci dimentichiamo, perché la gente si sa, dimentica tutto ciò che non ritiene strettamente importante per se stessa; quel tutto che è compito degli artisti e dei poeti rendere immortale.
Il testo della canzone
Ti regalerò una rosa
Una rosa rossa per dipingere ogni cosa
Una rosa per ogni tua lacrima da consolare
E una rosa per poterti amare
Ti regalerò una rosa
Una rosa bianca come fossi la mia sposa
Una rosa bianca che ti serva per dimenticare
Ogni piccolo dolore
Mi chiamo Antonio e sono matto
Sono nato nel ’54 e vivo qui da quando ero bambino
Credevo di parlare col demonio
Così mi hanno chiuso quarant’anni dentro a un manicomio
Ti scrivo questa lettera perché non so parlare
Perdona la calligrafia da prima elementare
E mi stupisco se provo ancora un’emozione
Ma la colpa è della mano che non smette di tremare
Io sono come un pianoforte con un tasto rotto
L’accordo dissonante di un’orchestra di ubriachi
E giorno e notte si assomigliano
Nella poca luce che trafigge i vetri opachi
Me la faccio ancora sotto perché ho paura
Per la società dei sani siamo sempre stati spazzatura
Puzza di piscio e segatura
Questa è malattia mentale e non esiste cura
Ti regalerò una rosa
Una rosa rossa per dipingere ogni cosa
Una rosa per ogni tua lacrima da consolare
E una rosa per poterti amare
Ti regalerò una rosa
Una rosa bianca come fossi la mia sposa
Una rosa bianca che ti serva per dimenticare
Ogni piccolo dolore
I matti sono punti di domanda senza frase
Migliaia di astronavi che non tornano alla base
Sono dei pupazzi stesi ad asciugare al sole
I matti sono apostoli di un Dio che non li vuole
Mi fabbrico la neve col polistirolo
La mia patologia è che son rimasto solo
Ora prendete un telescopio… misurate le distanze
E guardate tra me e voi… chi è più pericoloso?
Dentro ai padiglioni ci amavamo di nascosto
Ritagliando un angolo che fosse solo il nostro
Ricordo i pochi istanti in cui ci sentivamo vivi
Non come le cartelle cliniche stipate negli archivi
Dei miei ricordi sarai l’ultimo a sfumare
Eri come un angelo legato ad un termosifone
Nonostante tutto io ti aspetto ancora
E se chiudo gli occhi sento la tua mano che mi sfiora
Ti regalerò una rosa
Una rosa rossa per dipingere ogni cosa
Una rosa per ogni tua lacrima da consolare
E una rosa per poterti amare
Ti regalerò una rosa
Una rosa bianca come fossi la mia sposa
Una rosa bianca che ti serva per dimenticare
Ogni piccolo dolore
Mi chiamo Antonio e sto sul tetto
Cara Margherita son vent’anni che ti aspetto
I matti siamo noi quando nessuno ci capisce
Quando pure il tuo migliore amico ti tradisce
Ti lascio questa lettera, adesso devo andare
Perdona la calligrafia da prima elementare
E ti stupisci che io provi ancora un’emozione?
Sorprenditi di nuovo perché Antonio sa volare
Analisi della canzone
“Ti regalerò una rosa” non è solo una semplice canzone: è una poesia, una lettera scritta a cuore aperto da Antonio, ricoverato in manicomio, al suo Amore di una vita Margherita, anche lei ospite del medesimo luogo per qualche tempo (“dentro ai padiglioni ci amavamo di nascosto…”).
Una lettera densa di sofferenza e dolore, in cui vengono a galla tutti i trattamenti disumani cui “i matti” sono stati vittime tra quelle quattro mura, tra le quali, invece che essere curati ed accuditi come meritano, sono abbandonati totalmente a loro stessi (“puzza di piscio e segatura”).
Eppure nella vita di Antonio c’è ancora una speranza, una parvenza di libertà: non ha più nulla da perdere ormai, non ha amici veri (“quando anche il tuo migliore amico ti tradisce”), neanche la sua Margherita, la quale da tempo non è più parte della sua vita (“cara Margherita, sono vent’anni che ti aspetto“), perchè forse lo ha abbandonato anche lei, come hanno fatto tutti gli altri (“la mia patologia è che son rimasto solo”).
Si libra in volo, allora, Antonio. Si getta dal tetto dell’ospedale (“mi chiamo Antonio e sto sul tetto”), d’improvviso.
Lo fa per se stesso, ed anche per la sua amata, per stupirla e forse, in qualche modo, per richiamarla a sé (“sorprenditi di nuovo perché Antonio sa volare”).
Mentre recita tali ultime parole, Cristicchi sale su quella sedia gialla da pic nic che ha con sé sul palco, ed una volta in piedi su di essa allarga le braccia, e mima il gesto del volo. La domanda dunque sorge spontanea: il suo Antonio davvero si è buttato di sotto dal tetto del manicomio? Oppure semplicemente è salito, come il Cristicchi sopra il palco, su una sedia e, vista la propria malattia mentale, ha creduto così facendo di volare? E se davvero si è suicidato, l’ha fatto consapevolmente, oppure in realtà era pervaso dalla fantasiosa e illusoria credenza di poter spiccare il volo?
Tante domande, tanti punti interrogativi, di cui non ci è dato sapere la risposta. Non una risposta certa ed inopinabile, almeno.
E in fondo è giusto così.
Crediamo sempre di sapere tutto di tutti, di aver capito ogni cosa di qualunque persona incontriamo lungo il nostro cammino di vita.
Ed è lì che nasce l’errore, il giudizio sbagliato, il preconcetto, che ci porta a non riflettere e a non andare oltre.
L’Antonio di “Ti regalerò una rosa”, invece, con le sue parole, fa crollare queste certezze, questo nostro oltranzismo radicato.
E fa porre domande, e fa fare riflessioni. Non solo su di sé e sul proprio destino, ma anche su qualcosa di più, e più generale: “guardate tra me e voi, chi è più pericoloso?”.
Già. Chi è più pericoloso, quelli che sono considerati matti, o quelli che considerano gli altri matti, spesso così, tanto per, giusto perché non rientrano in un ordine delle cose stabilito arbitrariamente sulla base di se stessi?
Un’altra domanda, questa, a cui è davvero difficile dare una risposta.
O forse, forse non poi così tanto.