Dimenticate la delicatezza musicale di Ermal Meta che abbiamo visto sul palco dell’Ariston qualche giorno fa e lasciate spazio a un album che trasuda voglia di ballare e cantare a squarciagola sotto un palco. Stiamo parlando di Tribù Urbana, il nuovo album di Ermal Meta uscito venerdì 12 marzo 2021 su tutte le piattaforme digitali e sottoforma di disco e vinile.
Il nuovo progetto discografico di Ermal Meta, dedicato ai fan, è il suo quarto album in studio. Ermal ci propone questa volta un disco composto da 11 tracce velatamente autobiografiche in cui ci racconta una storia universale: c’è un fil rouge che unisce la maggior parte delle canzoni presenti, quel destino che accomuna tutti e quella distanza da abbattere per sentirsi tutti più simili, come una vera e propria “tribù” che impara l’arte della vita sotto lo stesso cielo.
La recensione del disco
Tribù Urbana ha la capacità di rievocare il sound dei primi dischi de La Fame di Camilla (gruppo musicale con il quale Ermal ha avviato la sua carriera musicale), ma allo stesso tempo di presentare allo spettatore un ritmo inaspettato e lontano da quello dei suoi precedenti dischi da solista. L’album pianta le radici nel percorso musicale passato di Ermal Meta per poi crescere in una direzione pop/rock coinvolgente e incalzante, ma mai banale e sempre coerente con lo stile di scrittura dell’artista.
In un repertorio musicale come quello di Ermal Meta in cui le ballad emozionanti non mancano (Piccola Anima, A Parte Te e Le Luci di Roma solo per citarne alcune), Tribù Urbana è forse il disco che va ad aggiungere quella vitalità musicale che abbiamo già imparato a conoscere, ma che ancora veniva a mancare per riequilibrare lo stile dell’artista.
Tribù Urbana è soprattutto un disco concepito per essere suonato live e per essere ballato con il sudore sulla pelle: in questo disco che non accenna in alcun modo alla pandemia c’è tanta voglia di uscirne e di gridarlo al mondo. Un progetto dunque azzeccato per la facilità con cui riesce a catapultare la mente dell’ascoltatore “in transenna”, con la speranza di poterci tornare fisicamente il più presto possibile.
La recensione traccia per traccia
Uno è la traccia che apre l’album e lo fa col botto. Ci spiazza facendoci subito ballare e cantare senza troppi giri di parole. Entra subito in testa e non ne esce più: è il brano perfetto da condividere in platea o, chissà, in spiaggia nel caso dovesse uscire come singolo. Il potenziale da tormentone estivo non gli manca.
Stelle Cadenti è un poesia d’amore vestita da canzone pop che funziona in radio. Ermal racconta in questa traccia l’incertezza del bene e il bisogno di sentirsi dire determinate parole per sentirsi al sicuro in una relazione ormai troppo instabile: “Dimmi che vuoi bene anche se non mi vedi, dimmi che mi vuoi bene finché sono ancora in piedi”. Del resto l’amore tra i due protagonisti ha un bisogno disperato di bruciare ora, nel presente, consapevoli che non durerà altri cent’anni luce: non siamo mica stelle cadenti.
Nella terza traccia Ermal abbandona per un momento gli arrangiamenti da fuochi d’artificio per dirci giusto due cose, anzi… un milione. Un Milione di Cose da Dirti, brano presentato a Sanremo e arrivato sul podio, dona respiro all’ascoltatore e ci inganna nel pensare che l’album abbia ancora qualche possibilità di appoggiarsi ad un sound più malinconico. Non sarà così.
Nella traccia successiva Ermal non solo abbandona quel sound a cui spesso viene associato, ma abbandona un testo autoreferenziale per farsi voce di un Destino Universale. Le storie di Yusuf, Marco, Tommaso e Marta sono tanto diverse quanto destinate ad una meta comune.
“Gira, gira sai com’è
non gli importa dei perché
sia nel bene che nel male
tocca a te e pure a me
gira, gira sai che c’è
lo fa senza chiedere
il destino universale
tocca a te e pure a me.”
Quello stesso destino viene invece sottratto a Nina e Sara nell’estate del 1987.
Per quanto riguarda la libertà individuale siamo ancora nel Medioevo. Il brano nasce da una storia personale. A 16 anni – nella realtà era il 1997 – avevo una fidanzata, la mia seconda fidanzatina, molto strana anche con sé stessa. La vedevo come un’anima in pena, non ero in grado di capire cosa avesse. Dopo due anni che ci siamo lasciati l’ho trovata felice fidanzata con una ragazza. Fino a quel momento non era stata in grado di ammettere a sé stessa che a lei piacevano le ragazze. Aveva questa rabbia, si faceva del male da sola dal punto di vista emotivo. La società non le aveva dato gli strumenti per capire che ciò che provava non era sbagliato. La strada è ancora lunga…
Ermal Meta.
Nina e Sara è un vero e proprio inno all’amore che verso la fine si alza di un tono e ci lascia con un finale aperto. “Dal punto di vista concettuale ho ripreso il finale di Anna e Marco di Lucio Dalla“, spiega Ermal. “Nina e Sara “poi le hanno viste insieme”, si dice anche. Ma dove sono andate? Ricordiamo che avevano solo 16 anni. Tuttavia, almeno in quel momento, per un po’ hanno sognato insieme.“
Dopo un testo tanto ricercato, Ermal si abbandona a una traccia tendente al rock in cui sfoga la sua rabbia su certi aspetti dell’evoluzione umana in cui ha perso la speranza. No Satisfaction è il singolo uscito in radio qualche mese fa e di cui vi abbiamo già parlato qui.
Se l’introduzione di Non Bastano le Mani vi ricorda qualcosa di già sentito, non siete nel torto: il brano inizia con un riarrangiamento al piano della melodia di Vietato Morire, singolo con cui Ermal Meta si era guadagnato un terzo posto al Festival di Sanremo del 2017. “Avevo voglia di creare questa sorta di confezione musicale che apre e chiude un singolo che ha tanto da dire… un po’ come la plastica che avvolge una caramella, che si chiude da entrambi i lati e che protegge la sostanza.” Non Bastano le Mani prende mille direzioni diverse, ma è sul ritornello che mette i brividi e grida al capolavoro. Forse il singolo più riuscito dell’album e quello a cui auguriamo tanto successo per la sua capacità di sorprendere, coinvolgere ed emozionare allo stesso tempo.
Un altro sole ci catapulta mentalmente sotto un palco in tempi più sereni. Riprende la prima traccia, ma con un testo che sottolinea come la musica ci unisca nonostante le differenze e le distanze. Aprirebbe meravigliosamente un concerto di Ermal Meta.
“Di piuma le montagne
di carta le catene
divisi eppure insieme
andiamo avanti così
scompaiono i confini
diversi eppure uguali
restiamo più vicini
ricominciamo da qui.”
Gli Invisibili nasce da un viaggio in America con suo fratello e da alcune parole scambiate con delle persone senzatetto. Un testo che dà voce a quelle persone che una voce non ce l’hanno, quelle che “vedi sempre sullo sfondo“, ma che, in qualche modo, “salveranno il mondo“.
La penultima traccia è un susseguirsi di ricordi e di fotografie del passato. Si è diventati grandi “in questo mare pieno di pericoli” e per questo Ermal inizia a sentire la mancanza di quella Vita da Fenomeni che si viveva un tempo. Ma alla fine, quando si cade in due, non si è mai davvero troppo stanchi per rialzarsi.
Il disco si conclude con Un Po’ di Pace, ballad romantica che incornicia i momenti apparentemente insignificanti di una relazione che si sono trasformati ora in ricordi sfumati dal tempo. Un ultimo respiro che sa di quel momento in cui si riaccendono le luci appena finito un concerto, magari proprio uno di Ermal Meta, a cui non vediamo l’ora di partecipare riunendoci fisicamente sotto lo stesso cielo.
Ermal, intanto, ci stuzzica con una novità in arrivo: “Esiste una dodicesima traccia che non è presente nell’album. Uscirà, ma non adesso.” Che si tratti di un singolo in collaborazione con gli Gnu Quartet, sua orchestra di fiducia? O che si tratti di un brano che si va ad inserire nel progetto cinematografico di Fabrizio Moro in fase di ripresa intitolato “Ghiaccio“? Noi non vediamo l’ora di scoprirlo.
Qual è la vostra traccia preferita del nuovo album? Fatecelo sapere in un commento!