Io non lo so se abbiate già letto o visto “Tutto chiede salvezza“, che sì, prima di essere la serie TV Netflix di cui tutti parlano è un libro, un libro bello, intenso e forte. Beh, in ogni caso se non l’avete fatto, dovete assolutamente rimediare.
Perché – riferendoci in questo caso unicamente alla serie, che però non si discosta poi tantissimo dalla sua versione cartacea – “Tutto chiede salvezza“ è un’opera che ti cattura il cuore è poi te lo spezza. Così, di netto, bum.
Ed è questo il bello; questo è il motivo per cui tutti dovrebbero vederla.
Perché in un mondo sempre più arido e piatto, in cui anche le opere televisive/cinematografiche tendono spesso a puntare più sulla forma che sul contenuto, una produzione come “Tutto chiede salvezza” sembra un’oasi in una terra desolata, un piccolo gioiellino che non si può – non si deve – guardare con distrazione, come facciamo spesso in questa vita sempre tanto affollata di cose da fare e da pensare. Non la si può guardare mentre si ha in mano un cellulare, o mentre si ha il cervello che corre agli impegni del giorno dopo.
No.
“Tutto chiede salvezza” deve essere guardata con calma e attenzione, per potersi gustare ogni frase detta, ogni sguardo scambiato, ogni gesto che esprime un’intenzione celata, ma chiaramente intuibile.
Non che serva poi chissà quanto tempo, per capire che ci troviamo di fronte ad una serie di profondo impatto emotivo.
Nel primo episodio, facciamo la conoscenza in primis di Daniele, il nostro protagonistia, ricoverato in un ospedale psichiatrico per un TSO in seguito ad uno scatto violentissimo di rabbia.
Nel corso di tutta la serie, è come se noi spettatori vedessimo il mondo attraverso i suoi occhi: ragioniamo attraverso le sue parole sul senso dell’esistenza, e soprattutto impariamo insieme lui a conoscere i suoi compagni di stanza, quei “fratelli donati dalla vita”, quei “matti” considerati tali da una società che non ha voglia di comprenderli o che forse vuole solo normalizzarli, renderli tali e quali a tutti gli altri, come viene detto nella serie stessa in un pensiero che è riportato esattamente come è scritto nel libro.
“Che cura c’è? Per com’è la vita, dico, che cura c’è? È tutto senza senso, poi se ti metti a cercare il senso ti pigliano per matto.”
Questa, una delle prime riflessioni del nostro caro Daniele, che con poche, semplici parole esprime davvero tanto, e tu mica te l’aspettavi così di colpo, ed è ancora più bella e impattante proprio per questo.
Ma Daniele (interpretato da un bravissimo Federico Cesari, che a me sembra una perfetta via di mezzo tra Elio Germano e Valerio Mastrandrea), non è l’unico cuore che batte all’interno dell’ospedale psichiatrico.
C’è Gianluca (Vincenzo Crea), che devasta con la sua dolcezza – e personalità – incompresa; Mario (Andrea Pennacchi), che ha sempre una parola di conforto per tutti, tranne che per sè stesso; Madonnina (Vincenzo Nemolato), la cui mente è un puzzle scomposto, Alessandro (Alessandro Pacioni), con il braccio livido per i pizzicotti che gli dà il padre nella speranza di risvegliarlo dal sonno ad occhi aperti che lo pervade, e infine Giorgio (Lorenzo Renzi), con la mente da bambino in un corpo da gigante.
Ma non solo loro, no.
C’è anche l’altra parte: gli psicologi, gli infermieri, i medici, tutti con i propri problemi interiori e che a volte sono più “matti” dei “matti” di cui si devono occupare. Non è forse da matti amare da decenni sempre e solo la stessa donna, che però ha scelto un altro?
No, non è da matti, pensiamoci bene. È da esseri umani.
Perché ecco cosa sono davvero tutti coloro che popolano quel reparto, indipendentemente dalla squadra in cui giocano, se quella dei pazienti o dei dottori: esseri umani. Questo, l’unico modo per definirli, anche se le parole non circoscrivono nessuno, in fin dei conti.
Ma sto di nuovo divagando, torniamo alla serie.
“Tutto chiede salvezza” è ambientata interamente all’interno dell’ospedale psichiatrico. Va avanti così per tutti i sette episodi di cui è composta (sette come i giorni della settimana di durata del TSO di Daniele). Non c’è azione, ma non è mai noiosa; ciò che costituisce la forza di questa serie è il legame tra i personaggi, la loro interiorità, i loro dialoghi.
Ecco perché dunque bisogna guardarla con attenzione, come detto a inizio articolo, perché se non si carpiscono questi elementi sembra di trovarsi di fronte ad un susseguirsi senza senso di momenti di vita di persone che non ci riguardano, e che dunque, magari, non ci interessano poi chissà quanto.
In realtà però questa serie rappresenta anche una inequivocabile denuncia sociale: una denuncia nei confronti di chi finge di non vedere i problemi degli altri e si volta dalla parte opposta, o che semplicemente non li comprende e allora li critica, ma forse ancor più di tutto è una denuncia nei confronti di un sistema che non funziona. Perchè all’interno di un reparto psichiatrico, in cui come è ovvio sono custoditi individui potenzialmente pericolosi per se stessi e per gli altri, non ci si può permettere alcuna distrazione o superficialità.
Ma questo è ciò che accade nella serie, la quale poi non è neanche tanto lontana dalla realtà, in quanto racconta eventi autobiografici vissuti dallo stesso Daniele Mencarelli, autore del libro. E le conseguenze, alla fine, sono devastanti, come viene mostrato in un penultimo episodio a tratti denso e soffocante, in cui si raggiunge il climax del dolore, ed anche della rabbia.
Parliamo però ora di un difetto di “Tutto chiede salvezza“: l’audio dei dialoghi. Davvero difficile riuscire a capire tutte le parole – considerando anche che la maggior parte degli attori usa inflessioni tipiche del dialetto romano, come nel libro – senza alzare a livelli esorbitanti il volume… che poi spacca i timpani non appena parte la musica (colonna sonora instrumentale e cantata molto bella, tra l’altro, con canzoni che spaziano da “Another love” di Tom Odell a “Vent’anni” dei Maneskin).
Un neo forse non chissà quanto importante, questo, che però risulta spesso fastidioso.
In definitiva, “Tutto chiede salvezza” è una serie bella, e ci sarebbero mille altre parole per descriverla ma “bella” racchiude tutto.
Guardatela se volete riflettere, emozionarvi, amare e sorridere con quei ragazzi che, alla fine, un po’ “fratelli della vita” lo sono diventati per tutti noi spettatori che li abbiamo conosciuti e ci siamo affezionati a loro, a questi “matti” in un mondo che lo è cento, mille volte di più.
“Tutto mi chiede salvezza. Per i vivi e i morti. Salvezza. Per i pazzi, di tutti i tempi, ingoiati dai manicomi della storia.”
Daniele (Federico Cesari)
La Recensione
"Tutto chiede salvezza"
Una serie intensa, che fa riflettere ed emozionare, e che denuncia la superficialità di un mondo davvero matto.
PRO
- Attori bravissimi
- Tante riflessioni ed emozioni
- Ottima colonna sonora
- Mai noiosa, nonostante l'ambientazione sia una sola e non vi sia azione
CONTRO
- Audio dei dialoghi non calibrato bene con quello della musica