Unorthodox racconta la storia vera di Deborah Feldman, interpretata da Esty, che fugge da Williamsburg fino a Berlino per ritrovare la propria libertà e la vera strada della sua vita. La miniserie di Netflix ci immerge in quattro puntate nel mondo di una comunità chassidica ai tempi del XXI secolo, mostrandola in tutte le sue contraddizioni.
La trama
La miniserie di Netflix “Unorthodox” si ispira all’autobiografia di Debora Fieldman, raccontando uno spaccato di vita della comunità ebrea chassidica che si trova in America e, più esattamente, a Williamsburg.
Veste i panni di Debora Fieldman, Esty, interpretata dall’attrice israeliana Shira Haas, una ragazza ebrea nata e cresciuta nella comunità Satid Hasidic di Brooklyn, New York. La comunità viene fondata in seguito alla Seconda Guerra Mondiale. Il primo episodio, e parte del secondo, sono dedicati a mostrare riti e usanze della comunità ebraica, soprattutto quelli legati ai matrimoni combinati.
Sarà proprio in seguito a un matrimonio infelice che Esty decide di scappare da Williamsburg e, con il supporto della sua insegnante di pianoforte, riesce a raggiungere Berlino. Nella capitale tedesca Esty ha sua madre, che vi si era trasferita pochi anni dopo la nascita della figlia e con cui, però, i contatti sono ridotti al minimo.
Che una moglie abbandoni la casa e la famiglia, è per i dettami ebraici un vero e proprio scandalo: il rabbino decide, allora, di inviare il marito di Esty, Yanky (interpretato da Amit Rahav) e suo cugino Moishe (ruolo ricoperto da Jeff Wilbusch), sulle sue tracce, per trovarla, farla ragionare e offrirgli la possibilità di tornare a casa.
Ma subito dopo il suo arrivo a Berlino, Esty cerca di ambientarsi, crea dei legami e si fa degli amici nonostante la sua riservatezza e diffidenza, e cerca di coronare il suo sogno di entrare nell’accademia musicale.
Quando finalmente Yanky e il cugino riescono a trovarla, Ester in preda alla disperazione e alla confusione si riavvicinerà alla madre, con cui il rapporto è conflittuale fin dalla sua partenza per l’Europa. Alla fine di questa storia, il destino di Esty si trova davvero ad essere nelle sue mani: dopo che il marito l’ha ritrovata, la scelta è sua.
La forza silenziosa di Esty
Molte delle scelte iniziali di Esty dipendono dalla forte contrapposizione con la madre: la protagonista, infatti, appare quasi volersi “vendicare” di sua mamma che da giovane ha lasciato il marito e ha abbandonato l’America e la comunità nella quale si sentiva oppressa. Una giovane Esty, col cuore spezzato dalla lontananza di sua madre, le dice:
“Mi sposerò e non avrò mai bisogno di altro”.
Ma passa poco tempo dal matrimonio, quando Esty si rende conto che la vita che immaginava è molto diversa dalla realtà. Parte tutto dalla durissima e molto cruda scena in cui i capelli le vengono rasati a zero, e prosegue anche peggio tra una insoddisfacente vita sessuale, la frustrazione di non riuscire a rimanere incinta e le intromissioni continue della famiglia del marito.
Esty si sente persa, vuole ritornare a casa da sua nonna ma non le viene permesso, e non riesce più ad essere sé stessa. Dopo quasi un anno di convivenza col marito, un vero e proprio estraneo, Esty scopre di aspettare un figlio. Poco prima di riuscire a comunicarlo a Yanki, lo stesso la ripudierà, spinto dalla sua inesperienza e manovrato dalla madre.
Ed è allora che Esty decide coraggiosamente per un cambiamento. Giunta in Europa si vede una giovane donna completamente diversa, che toglie la parrucca, indossa dei jeans e non ha paura di conoscere nuove persone e confrontarsi con loro senza nascondere le sue origini e la sua storia, continuando sempre a difendere la sua fede e tendendo a sottolineare che non è fuggita, ma solo andata via.
Quando una delle sue nuove amiche tedesche le chiede se è scappata, Esty risponde:
“Così sembra che stessi in prigione. Sono andata via, senza dire a nessuno dove. Dio forse si aspettava troppo da me, e ora devo trovare la mia strada”.
Ed è esattamente quello che Esty farà, senza far intiepidire il suo animo dall’impacciato quanto a volte spietato marito, che si pronuncia pentito solo dopo aver saputo essere sua moglie in dolce attesa, e senza cedere alle velate minacce di Moishe, che la porta in un parco cercando di farla sentire in colpa e “sporca”:
“Questo posto è pieno di anime ebree, Esty. Le anime di un milione di morti! Vuoi crescere un figlio in mezzo a tutti questi morti? Che farai qui? Senza qualifiche, senza soldi, senza esperienza né contatti. Il mondo è una giungla. Hai ancora qualche soldo in tasca. Il tuo corpo gode ancora del calore procurato da Yanky. Chiamami tra qualche mese, quando starai morendo di freddo e di fame, lontana da tutti coloro che hanno a cuore le tue sorti. Alla fine tornerai strisciando dalla nostra comunità. Ma allora sarà troppo tardi. Niente sarà più come prima.”
La forza di Esty si rivela all’inizio della serie, in seguito alla disperazione dell’oppressione, e alla fine, da una rinata libertà e del coraggio, stavolta senza limiti.
Perché vale la pena vedere la mini-serie di Netflix
La serie prodotta da Anna Winger e Alexa Karolinski si ispira liberamente alla storia vera di Deborah Feldman, con alcune differenze, quali il sogno di Esty di diventare una musicista mentre Deborah si è dedicata alla scrittura. Ma la veridicità con cui viene costruito il racconto è strabiliante: dalla scelta di utilizzare dialoghi in lingua yiddish, all’attenzione nei costumi quali l’uso degli shtreimel, ovvero i cappelli indossati dai capofamiglia e le tipiche basette arricciate, i payot.
Viene anche messo in luce, come nella comunità chassidica non sia permesso alle donne ricevere un’istruzione adeguata, poiché il loro compito è concepire “per ridare la vita a sei milioni di vittime”. Questa serie non solo ci permette di comprendere meglio le usanze di una comunità così serrata, ma ci mostra che è sempre possibile prendere in mano la propria vita, reinventarsi e riscoprirsi.
E tutto questo è possibile, continuando ad avere fede, continuando ad essere sé stessi: Esty ci dimostra che pur togliendo la parrucca, ciò che resta non sono solo i suoi capelli scoperti che tutti possono guardare, ma sotto resta il suo animo, le sue idee e semplicemente sé stessa.
La Recensione
Unorthodox
Unorthodox è la storia vera di una giovane donna fuggita da una comunità chassidica, che racconta benissimo le contraddizioni insite alle leggi e usanze troppo dure, e altrettanto bene racconta la voglia di riscatto.
PRO
- La storia è molto bella, così come i dialoghi e le riprese.
CONTRO
- La prime due puntate appaiono inizialmente molto lente, per poi entrare nelle altre due nel vivo del racconto.